Vinicio Marchioni: "Uno zio Vanja che racconta il declino culturale"

Vinicio Marchioni: "Uno zio Vanja che racconta il declino culturale"
PERUGIA - Tornerà in Umbria, regione dove è stato allestito e ha debuttato poco più di un anno fa, l’applaudita versione con regia di Vinicio Marchioni...

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PERUGIA - Tornerà in Umbria, regione dove è stato allestito e ha debuttato poco più di un anno fa, l’applaudita versione con regia di Vinicio Marchioni di Uno zio Vanja, celebre dramma di Anton Cechov. L’appuntamento è al Teatro Morlacchi di Perugia da mercoledì 20 a domenica 24 febbraio, dove è atteso anche Francesco Montanari che interpreterà il medico Astrov; per Marchioni doppio impegno, dato che vestirà i panni del protagonista. Uno spettacolo che sta ottenendo un grande successo, con applausi calorosi ed emozionati ad ogni replica.


Vinicio Marchioni, può tracciare un primo bilancio sulla tournée?
Certamente è molto positivo e sono particolarmente contento perché è uno spettacolo pensato per il pubblico, non per mettersi su un piedistallo e cercare di dare un’interpretazione dell’opera di Cechov. Tuttavia è fedele alle sue atmosfere e tematiche.

Ad esempio la tematica del tempo che scorre…
Sì, che può essere analizzata in qualsiasi epoca e a qualsiasi livello economico o culturale. Un essere umano, di solito a 40 o 50 anni, inevitabilmente si chiederà che cosa è successo degli anni passati. La grandezza di autori come Cechov è che hanno scavato in tematiche che riguardano ogni essere umano.

Il riadattamento è firmato da Letizia Russo, che per lo Stabile dell’Umbria si è occupata anche de "Il Maestro e Margherita" di Bulgakov, l'ha visto?
L’analogia è azzeccata. Non ho ancora potuto vedere quello spettacolo ma spero di farlo presto, anche perché sono amico sia del regista Andrea Baracco che del protagonista Michele Riondino.

Nel suo “Uno zio Vanja” c’è molto dell’Italia di oggi?
Sì, è un’interpretazione del nostro Paese. Mi sono chiesto: questa piantagione in cui il grano non cresce più… è tanto diversa da ciò che viviamo oggi in Italia? Se sostituiamo il grano con la creatività, la cultura, gli investimenti per scuola e teatro… anche questo grano non cresce più!

Quindi c’è un desiderio di riportare il teatro a un ruolo sociale più attivo?
Certamente. La più grande sfida e far uscire le persone fuori da casa, fargli conoscere la grande letteratura e il grande teatro, quando la scuola non lo fa più e c’è la certezza, ahimè, di un impoverimento culturale drammatico. La fortuna di chi fa un mestiere come il nostro è poter condividere con il pubblico in sala dei temi in particolare. Scegliendo certi classici le nuove generazioni possono incuriosirsi e la speranza e che anche solo uno dei 1000 presenti vada in una libreria il giorno seguente e si compri un’opera di quell’autore. Dobbiamo insegnare noi alle nuove generazioni l’importanza del teatro a livello culturale.

In questo spettacolo c’entra anche una tematica molto sentita qui in Umbria…

C'è il dramma del terremoto. Le macerie dei luoghi colpiti negli ultimi 10 anni sono ancora lì, sembra non essere successo mai e non se ne parla più. Queste macerie però non sono solo le case crollate, ma anche le macerie culturali di un’identità che abbiamo perduto completamente. E ora stiamo iniziando a farci una guerra fratricida piuttosto che unirci e cercare di ricostruirle. Credo che senza l’amore per l’umanità non sia possibile fare nulla di buono. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero