Matteo e quel viaggio in lockdown costato una condanna in tribunale. E tutto per non far arrabbiare papà

La stazione di Foligno
PERUGIA Quanto è costato un viaggio al mare in pieno lockdown? Una multa? No, quello è stato il meno. Molto più pesante la condanna a oltre cinque mesi di...

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PERUGIA Quanto è costato un viaggio al mare in pieno lockdown? Una multa? No, quello è stato il meno. Molto più pesante la condanna a oltre cinque mesi di reclusione per una bravata che si è ingigantita di sciocchezze a ogni passo. Arrivando appunto fino in tribunale.

È quanto successo lo scorso gennaio, quando tutta l'Italia era chiusa in casa, in una zona rossa quasi globale in cui gli spostamenti erano limitati allo stretto necessario. Ma Matteo ha 19 anni, è bloccato tra quelle quattro mura da mesi e non ce la fa più. Ha voglia di far qualcosa di diverso per non impazzire, gli manca un amico fraterno ed evidentemente le videochiamate non bastano più. Allora esce da quella casa, non dice nulla a nessuno e arriva fino a Rimini. Lì passa due giorni a svagarsi, magari sempre fra quattro pareti ma almeno diverse. Ma il tempo, si sa, vola quando ci si diverte e arriva il momento di tornare in Umbria. Peccato che le ultime persone che incontra in una Rimini in lockdown sono gli agenti della polizia locale: che lo fermano e, vista la residenza “straniera”, lo multano. Quattrocento euro per la violazione delle norme anti Covid, 280 se paga subito. Matteo non vuole che quel verbale, insieme alla scoperta della sua fuga, arrivi a casa dei suoi e quindi paga subito in contanti. Peccato che però non abbia più i soldi per il biglietto del treno. Allora tenta la sorte e perde: il capotreno vuole vedere ciò che lui non ha. Scatta la multa e il momento di dire come si chiama. «Matteo Bici», risponde. Che chiaramente, come qui, è un nome di fantasia. Il capotreno capisce e segnala alla polizia ferroviaria della stazione di arrivo, Foligno. Il treno non ha neanche finito di fischiare sul binario che gli agenti lo individuano. Anzi, li individuano, perché il fu Matteo Bici non è solo. Ma è solo più lento. L'altro amico che è con lui, infatti, riesce a scappare alla vista dei poliziotti della Polfer, lui no. È fregato. E qui - gli viene chiarito negli uffici della stazione di Foligno - non si parla più di multe, ma dell'accusa di aver fornito false generalità a un pubblico ufficiale, come è il capotreno in servizio. Un reato per cui il giovane va a processo e che, con il patteggiamento concesso dal pubblico ministero Paolo Abbritti dopo la richiesta dell'avvocato Silvia Stancati che lo ha difeso, diventa una condanna a cinque mesi e dieci giorni, ma con pena sospesa e non menzione. Una serie di scorrettezze per non farsi beccare da mamma e papà: la fedina penale non lo ricorderà, ma lui certamente sì.

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Il Messaggero