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PERUGIA - “Sarino”, lui che di nome di battesimo fa Rosario. Un diminutivo che tradisce vicinanza e confidenza. Un amico, una persona fidata. Difficilmente uno sconosciuto. “Sarino” è registrato così in rubrica dal capo della presunta organizzazione che avrebbe prodotto fatture false per riciclare i soldi della ‘ndrangheta, e per gli inquirenti è il riferimento perugino del giro milionario. Incastrato anche da una sim card ritrovata dai carabinieri.
«Nessun dubbio sulla sua identificazione - è scritto nell’ordinanza di applicazione di misure cautelari firmata qualche giorno fa dal giudice del tribunale di Brescia - dal momento che egli ha accettato di assumere la veste di legale rappresentante della società “cartiera” Edilitaly. Lo Scumaci è utilizzatore della scheda...memorizzata nella rubrica telefonica di Tarasi Martino alla voce “Sarino” rinvenuta in suo possesso e sottoposta a sequestro il 10 febbraio 2021 dai carabinieri di Ponte San Giovanni».
Il contatto perugino, dunque.
Le indagini, nel complesso sono 66 gli indagati con 18 persone in carcere, tra cui Rosario Scumaci catanzarese residente a Perugia, e altre 13 agli arresti domiciliari) hanno condotto gli investigatori delle fiamme gialle anche a Perugia dal momento che una delle aziende cartiere aveva ufficialmente la sede proprio a Perugia: Edil Italy, società edilizia con capitale sociale di 900 euro che in pochi mesi, secondo quanto si legge nell’ordinanza firmata dal giudice del tribunale di Brescia, aveva già prodotto diverse fatture false per qualche decina di migliaia di euro.
Accuse ovviamente ancora tutte da dimostrare, con gli indagati che avranno modo di replicare a quanto viene loro contestato, ma quanto emerge da una delle tantissime intercettazioni fa sicuramente emergere un quadro inquietante. Perché, come spiegano gli inquirenti, questo meccanismo inevitabilmente doveva contare anche su imprenditori che di fatto pagano le fatture per poi vedersi rientrare i soldi in contanti alleggeriti di un 10-15% per questo tipo di “commissione” che, secondo inquirenti e investigatori, permetteva di «abbattere l’imponibile così conseguendo un indebito risparmio delle imposte dirette dell’imposta sul valore aggiunto».
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Il Messaggero