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TERNI Elena si è ammalata una settimana fa. “Venerdì avevo un forte mal di testa e difficoltà respiratorie - racconta - sono tornata a casa dall’ufficio, ho misurato la temperatura e ho scoperto di avere 38. Ho contattato il medico di famiglia, che mi ha suggerito di prendere la tachipirina e aspettare di vedere se la febbre scendeva. Niente, la temperatura non si muoveva. Si ammala anche mio marito: stessi sintomi. Il sospetto di aver contratto il Covid-19 ci viene quando ci rendiamo conto che stavamo perdendo il gusto e l’olfatto. Il nostro medico apre allora la procedura Covid-19, e il lunedì mattina parte la richiesta per il tampone a domicilio, perché di fatto da quel momento siamo in isolamento”. Il mercoledì gli operatori sanitari incaricati di fare il test ancora non si vedono, perciò Elena prova a contattare il dipartimento di igiene e prevenzione dell’Azienda Usl Umbria 2, ma non ci riesce. Invia una mail di richiesta di informazioni, ma non riceve risposta. “Ci chiama il nostro medico e ci averte che il tampone è in calendario per il 13, ma siamo arrivati al 15 ottobre e ancora non abbiamo visto nessuno”. Sia Elena che Fausto (il marito), che lavorano in posti diversi, avvertono i rispettivi responsabili del personale, della situazione. Le due aziende chiedono di essere informate sul risultato dell’indagine sanitaria e di essere messi a conoscenza dell’esito del tampone per poter procedere, in caso di positività, alla sanificazione degli uffici e all’isolamento dei contatti e relativa segnalazione. Ma quell’indagine ancora non è stata avviata. Quel ritardo mette in difficoltà anche Paolo, il figlio, che frequenta la quinta classe di una scuola superiore di Terni. Di fatto Paolo poteva andare a scuola perché non era in isolamento, ma i genitori, prudentemente, lo hanno invitato a restare a casa. Paolo si mette allora in contatto con i suoi professori che, in accordo con il ragazzo, preferiscono che resti a casa, seppure senza sintomi, in attesa dell’esito dei tamponi dei loro genitori. In questi casi i solleciti dei medici di base non servono: è il sistema sotto pressione. Alessandro Camilli, medico di medicina di base, spiega: “siamo 140 medici di famiglia e in questo periodo ciascuno di noi invia almeno 3 o 4 segnalazioni di casi sintomatici o di contatti al giorno”.
Il Messaggero