Terni, famiglia chiusa in casa da una settimana: «Aspettiamo di fare il tampone ma non arriva nessuno»

Terni, famiglia chiusa in casa da una settimana: «Aspettiamo di fare il tampone ma non arriva nessuno»
di Aurora Provantini
3 Minuti di Lettura
Venerdì 16 Ottobre 2020, 09:56 - Ultimo aggiornamento: 10:10

TERNI Elena si è ammalata una settimana fa. “Venerdì avevo un forte mal di testa e difficoltà respiratorie - racconta - sono tornata a casa dall’ufficio, ho misurato la temperatura e ho scoperto di avere 38. Ho contattato il medico di famiglia, che mi ha suggerito di prendere la tachipirina e aspettare di vedere se la febbre scendeva. Niente, la temperatura non si muoveva. Si ammala anche mio marito: stessi sintomi. Il sospetto di aver contratto il Covid-19 ci viene quando ci rendiamo conto che stavamo perdendo il gusto e l’olfatto. Il nostro medico apre allora la procedura Covid-19, e il lunedì mattina parte la richiesta per il tampone a domicilio, perché di fatto da quel momento siamo in isolamento”. Il mercoledì gli operatori sanitari incaricati di fare il test ancora non si vedono, perciò Elena prova a contattare il dipartimento di igiene e prevenzione dell’Azienda Usl Umbria 2, ma non ci riesce. Invia una mail di richiesta di informazioni, ma non riceve risposta. “Ci chiama il nostro medico e ci averte che il tampone è in calendario per il 13, ma siamo arrivati al 15 ottobre e ancora non abbiamo visto nessuno”. Sia Elena che Fausto (il marito), che lavorano in posti diversi, avvertono i rispettivi responsabili del personale, della situazione. Le due aziende chiedono di essere informate sul risultato dell’indagine sanitaria e di essere messi a conoscenza dell’esito del tampone per poter procedere, in caso di positività, alla sanificazione degli uffici e all’isolamento dei contatti e relativa segnalazione. Ma quell’indagine ancora non è stata avviata. Quel ritardo mette in difficoltà anche Paolo, il figlio, che frequenta la quinta classe di una scuola superiore di Terni. Di fatto Paolo poteva andare a scuola perché non era in isolamento, ma i genitori, prudentemente, lo hanno invitato a restare a casa. Paolo si mette allora in contatto con i suoi professori che, in accordo con il ragazzo, preferiscono che resti a casa, seppure senza sintomi, in attesa dell’esito dei tamponi dei loro genitori. In questi casi i solleciti dei medici di base non servono: è il sistema sotto pressione. Alessandro Camilli, medico di medicina di base, spiega: “siamo 140 medici di famiglia e in questo periodo ciascuno di noi invia almeno 3 o 4 segnalazioni di casi sintomatici o di contatti al giorno”. Per i primi interviene l’Usca (Unità speciale di continuità assistenziale, ndr), che è stata creata a posta per andare nelle abitazioni delle persone positive, per i secondi ci si sottopone a tampone presso il drive in”. Camilli parla di circa 500 segnalazioni al giorno “anche se i ritardi superiori a tre giorni sono rari”. “Ci si aspetta comunque un’esplosione della situazione a breve – afferma Camilli – che metterà a rischio la tenuta del sistema”. Per Elena invece il sistema è già da potenziare, perché “soprattutto in casi come il nostro i ritardi fanno slittare le procedure per la segnalazione dei contatti, andando a complicare la vita lavorativa e relazionale dell’intera comunità”. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA