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TERNI - Chiudono i negozi di prossimità, aprono caffetterie e pub. Il centro di Terni si trasforma. In termini numerici, tradotto in attività esistenti per intenderci, le cose sembrano tali e quali a vent’anni fa. Ma non è così. E’ l’identità della città che sta cambiando. E infatti. Quel cuore pulsante (del commercio) non è più “vitale” come allora, quando arrivavano intere famiglie da Lazio, Marche e Toscana, per rinnovare il guardaroba. Perché c’era scelta. Ci si poteva sbizzarrire tra svariati negozi di scarpe di lusso (Perli, Caprice, Giovanni e Valentino), di medio prezzo (Martellini e Giusy), ma anche su misura (Coriolano). Si andava nel salotto buono di Terni, in centro, tra Corso Tacito e via Goldoni, per acquistare un capo firmato o un copriletto di qualità. In piazza Valnerina per farsi consigliare un divano di design o una lampada d’arredamento. Sotto la galleria del Corso per visionare i più rari tappeti persiani. Qualcuno buttava l’occhio sulle jeanserie in largo Cairoli e qualcun altro sulle collezioni moda bimbi in largo Villa Glori. Se non si trovava l’abito dei sogni in una boutique si entrava in quella che stava pochi metri più avanti. Tutte concentrate in centro. Come molte gioiellerie, librerie, profumerie e negozi di giocattoli. Che oggi sono una rarità. Anche i dati di Confcommercio confermano una trasformazione importante. «Seppure le statistiche ci dicono che c’è una sostanziale tenuta - spiega il presidente Stefano Lupi - in realtà i negozi tradizionali, che hanno accompagnato la crescita della nostra città qualificandone l’offerta commerciale, hanno subito una drastica diminuzione». Del 15,7 per cento in nove anni nel centro storico e del 12 fuori dalla Ztl. A fronte di un aumento dei pubblici esercizi (dell’ 11,4 per cento). «In effetti vi è una eccessiva e sovradimensionata presenza di locali nel centro di Terni. Peraltro non supportata da un’adeguata capacità di spesa» – evidenzia Lupi. «I dati dell’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane, con un focus su Terni, arrivano dopo due anni di pandemia e un lungo periodo di stagnazione dei consumi. Quello che possiamo osservare – commenta ancora Lupi – è che dietro l’apparente tenuta del numero delle imprese c’è un cambiamento profondo.
Il Messaggero