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PERUGIA - Un parto gemellare, la sorellina nasce subito, naturalmente, e sta bene. Il fratellino ha bisogno di venir fuori con un cesareo, ma alla sua nascita è chiaro che qualcosa non va. È assente l'attività respiratoria spontanea, il quadro clinico è grave, è immediato il trasferimento a Terapia intensiva neonatale di Perugia ma le dimissioni, dopo un mese, parleranno di «asfissia perinatale grave, sindrome distonico apatica», che significa «totale e permanente inabilità lavorativa al 100 per cento e con necessità di assistenza continua», per la «paralisi cerebrale infantile» che lo portano a un «ritardo globale».
Un caso di «mal practice sanitaria» passato per le vie assicurative, con i genitori che hanno ottenuto 1,2 milioni di euro di risarcimento. Ma di questi 800mila li ha messi la Regione Umbria e la procura della Corte dei conti li ha richiesti indietro all'allora primario di Ginecologia dell'ospedale di Castiglione del lago, al ginecologo di turno (era il 2004), a un'ostetrica e a una dirigente medico pediatra. Ma i giudici contabili, in 26 pagine di sentenza, hanno chiarito non solo come i medici (difesi dagli avvocati Antonio Bellini, Mario Rosati, Valter Angeli e Marco Brusco) non debbano nulla alle casse pubbliche, ma ha disposto anche il pagamento di 3.500 euro a favore del primario e di 1.500 per due convenute, essendo nel frattempo deceduto il quarto. La Corte di conti, oltre a una lunga disamina sulla questione assicurativa, vecchi contratti e franchigie, ha sostenuto come la «procura non individua (…) la specifica condotta antidoverosa assunta come causativa del danno», sottolineando anzi i soli venti minuti tra un parto e l'altro 1un tempo record che attesta l'efficienza dell'equipe medica, prontamente attivatasi per tentare di risolvere l'emergenza indotta dalle complicanze dovute allo spostamento della posizione del secondo bambino e alla rottura, verosimilmente accidentale, del suo sacchetto amniotico».
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