OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
PERUGIA - Meno movida, più libri; meno social più impegno civile. Giovanni Impastato, fratello dell’attivista antimafia Peppino trucidato nel maggio 1978, ha concluso all’Itet “Capitini” di Perugia la due giorni umbra che lunedì l’ha portato a tu per tu anche con gli studenti del “Cassata-Gattapone” di Gubbio. «Incontrarvi è proseguire il dialogo con mio fratello che si è interrotto 46 anni fa». Il suo racconto ha suscitato interesse e curiosità nei ragazzi che, tra applausi e silenzi di riflessione, hanno scoperto una storia che il film “100 passi” ha saputo tramandare alle nuove generazioni. «Marco Tullio Giordana in 48 ore è riuscito in quello che non eravamo riusciti a fare in 22 anni, far conoscere le vicende di Peppino al grande pubblico». Per il dirigente dell'istituto perugino, Silvo Improta, «un’occasione per riflettere sulla mafia e sulle esperienze di vita che spesso ne sono derivate per capire cosa è stata in passato e cosa è ancora oggi la sua storia».
Per due ore lo scrittore ha intrattenuto i ragazzi raccontando l’evoluzione di Cosa Nostra dagli anni ’60 ad oggi, dalla mafia agricola a quella urbana, dai rapporti coi Badalamenti a Messina Denaro. Una narrazione cadenzata dal ricordo del fratello, ucciso il 9 maggio 1978 nel cui ricordo da metà anni '90 Giovanni Impastato ha intrapreso un’azione divulgativa e di sensibilizzazione portando avanti la missione del fratello che all’indomani dell’attentato allo zio Cesare (a metà anni ’60) disse: «Se questa è la mafia, la combatterò per tutta la vita».
Le domande degli studenti hanno svelato anche un Peppino inedito, come quando vestito da clown in paese (Cinisi) si è improvvisato sputafuoco o come quando si dedicava al cineforum nel suo “Circolo musica e cultura” dove passava intere notti a parlare e a discutere con amici e conoscenti. «Specie con chi non la pensava come lui». Un racconto anche personale, la paura dopo l’uccisione del fratello e la lotta contro chi anche da morto infangava il suo nome. Prima, i dissidi con lui seguiti alla morte del padre al cui funerale Peppino si rifiutò di stringere la mano ai mafiosi. «Io non lo feci e ripensarci oggi è ancora imbarazzante: quel filo con la mafia si è spezzato solo dopo la morte di Peppino: incontrando voi ragazzi riesco a liberarmi di quel peso. Parlare con voi è come parlare con mio fratello, continuando quel dialogo spezzato 46 anni fa». A concludere l’incontro la professoressa Simona Carlà, vicepreside dell’Istituto Capitini: «Con questo incontro abbiamo gettato un seme che speriamo possa prima o poi germogliare».
Fabio Nucci
Leggi l'articolo completo suIl Messaggero