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PERUGIA - Cartomante non è sinonimo di ciarlatano, quindi l'attività chiusa con questa accusa va riaperta e la titolare risarcita. Addirittura dal ministero dell'Interno.
È quanto ha stabilito il Tar dell'Umbria, accogliendo il ricorso dall'imprenditrice che nel luglio 2017 si era vista chiudere la sua attività di cartomanzia, dopo un controllo della polizia – come riassumono i giudici amministrativi - che aveva trovato «5 postazioni fisse con telefono impegnate da operatori, e sul tavolino di una di esse erano presenti mazzi di carte del tipo ‘tarocchi’» e che «il servizio di cartomanzia viene svolto sia tramite utenze telefoniche 899… in entrata, sia con utenze telefoniche fisse». Da qui, la cessazione dell'«attività illecitamente esercitata» perché la cartomanzia «è attività non consentita». Il Tar, richiamando diverse decisioni del Consiglio di Stato, ha invece evidenziato che «l’esercizio di attività di cartomante a mezzo di utenza telefonica non è sufficiente di per sé ad integrare la fattispecie di ciarlataneria prevista dalla normativa di pubblica sicurezza, in assenza di adeguata indagine sull’idoneità della stessa a produrre abuso della credulità popolare e dell’ignoranza». Per cui il ricorso dopo quattro anni è stato accolto (la società era assistita dall'avvocato Gian Luca Falcinelli) e il ministero condanna al pagamento di 1.500 euro.
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