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«Era raggiante». Piemontese, 55 anni, il regista Marco Ponti ieri ha voluto ricordare Gianluca Vialli così, nel momento in cui lo scorso novembre - il campione presentò nei cinema di Genova il documentario La bella stagione, da lui fortissimamente voluto e sostenuto sino all'ultimo.
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«Dovevamo proiettare il film in una sala, ma le persone erano troppe e alla fine ce ne hanno date cinque. Sui titoli di coda il pubblico si è alzato in piedi cantando Lettera da Amsterdam, l'inno non ufficiale della Sampdoria. Guardai Gianluca, insieme ai suoi compagni Roberto Mancini, Gianluca Pagliuca e Pietro Vierchowod: era raggiante. Aveva l'aria di chi pensa: insieme abbiamo fatto tanto. Abbiamo fatto la felicità. In quel momento ho sentito l'orgoglio di aver fatto anche io un pezzettino della storia della Sampdoria». Presentato allo scorso Festival del Cinema di Torino, e in onda stasera in prima serata su Rai 2, La bella stagione racconta la grande amicizia fra Gianluca Vialli e Roberto Mancini, attraverso le epiche gesta della Sampdoria dello scudetto e la vittoria agli Europei della nazionale nel luglio 2021, siglata dallo storico abbraccio fra i gemelli del gol nello stadio di Wembley.
ENTUSIASMO
«Non ci siamo mai detti che potesse essere un testamento, anzi non è mai stato nemmeno un argomento. E questo rende chiara la statura del personaggio. Vialli non è mai stato egoriferito, non ha mai detto: facciamolo perché sono io, ma perché è una grande storia. Da vero narratore ha capito che quel racconto poteva essere importante per tanta gente, non solo per chi affronta la malattia o la precarietà, ma anche per le persone che oggi cercano nel mondo e nello sport certi valori». La stesura del copione è durata un anno e mezzo, «Luca e mi faceva tante domande, tutte quelle che si fanno quando si affida il proprio sogno a qualcun altro ha aggiunto Ponti - Abbiamo lavorato con costanza e sempre con tantissimo entusiasmo. Sentivamo che in quella storia c'era il senso dello spirito di gruppo e della squadra, ma anche la bellezza dello stare insieme, del toccarsi, dell'abbracciarsi dopo l'esperienza del Covid. E Vialli lo sapeva, sentiva nei confronti del film un'urgenza più narrativa che personale». Pur provato dalla malattia, a novembre il campione aveva insistito per accompagnare il film a Torino, incontrando pubblico e stampa: «Vialli ha fortemente voluto il documentario, ci teneva a smentire le leggende su Genova che indebolisce i giocatori dice Rovere - Per lui il sole della Liguria non era una distrazione ma un vantaggio, perché il mare, diceva, ti dà la sensazione di un orizzonte raggiungibile. È stato insieme a noi per tutto il lancio del film, e nonostante le forze fossero poche ha creduto nel lavoro e nel messaggio che il documentario poteva lasciare alle giovani generazioni. Mancherà, al calcio e alla società. Ha lasciato la testimonianza importante di un grande atleta, un grande uomo e un grande artista».
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Il Messaggero