OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Special in campo e con le parole. Perché fotografare meglio la gioia provata domenica sera dopo il 2-1 di El Shaarawy da un tifoso della Roma, era effettivamente difficile. Mourinho c’è riuscito: «La mia è stata la corsa di un bambino, quella di uno di 12-13 anni che inizia a sognare con il mondo del calcio». In effetti a sprintare sotto la Curva Sud c’era anche chi si è ritrovato allo stadio 20 file più in basso, il papà che a casa urlando ha svegliato il figlio che dormiva o chi ascoltando la partita per radio in automobile ha iniziato a suonare il clacson impazzito. Uno slancio, quello del tecnico, che rappresenta sì la Roma prima in classifica ma soprattutto la sensazione di qualcosa di diverso che avverte la tifoseria giallorossa. Perché per ritrovare la Roma leader dopo i primi 270’ in campionato bisogna tornare indietro di otto anni. All’epoca Garcia ne vinse addirittura 10 di fila per poi terminare il torneo secondo a -17 dalla Juventus. Era una squadra che doveva reagire allo smacco del 26 maggio e che, senza il terribile infortunio di Strootman, sarebbe arrivata a ridosso dei bianconeri.
RISCHI CALCOLATI
Senza scomodare paragoni antipatici, quella di oggi regala però una sensazione nuova. Più che per la carta d’identità, per un manico che porta in dote mille panchine e 25 trofei. Perché se non bastano tre partite per un bilancio, possono essere sufficienti per capire lo spartito, l’idea sulla quale si sta lavorando. E rispetto al recente passato, la Roma formato Mou sa essere ambiziosa, cinica, quadrata, unita, paziente e soprattutto caparbia. Al limite dell’harakiri. Tuttavia, in un lavoro di costruzione, serve anche rischiare. E allora dentro Shomurodov per Veretout a un quarto d’ora dalla fine, con la squadra stanca e metà Olimpico a chiedersi se non fosse una mossa eccessiva. E poteva realmente diventarlo se Rui Patricio non avesse detto di no a Boga, il palo non avesse respinto il tiro di Traoré e Scamacca fosse partito 10 centimetri prima. Ma «la vita è un gioco di centimetri e così è il football», raccontava Al Pacino in Ogni maledetta domenica. L’attore, nei panni del coach di Miami, li rapportava a quello americano ma rende ugualmente l’idea con il calcio nostrano. Serviva rischiare e sacrificarsi, pur di vincere.
CAMBIO DI ROTTA
Mou è il primo a sapere che non sempre andrà così.
Il Messaggero