Attivismo e Mamba mentality: così Naomi conquista il mondo

Attivismo e Mamba mentality: così Naomi conquista il mondo
«Ho pensato subito a tutte le volte che avevo visto i grandi giocatori lasciarsi andare a terra e guardare il cielo. Ho sempre voluto capire cosa vedessero». E...

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«Ho pensato subito a tutte le volte che avevo visto i grandi giocatori lasciarsi andare a terra e guardare il cielo. Ho sempre voluto capire cosa vedessero». E così, chiuso il punto decisivo che le ha dato la vittoria contro Vika Azarenka e il terzo Slam della sua giovane carriera, Naomi Osaka si è stesa sul cemento di Flushing Meadows e ha guardato il cielo. Non lo ha detto, ma forse ci ha visto Kobe Bryant con uno di quei suoi sorrisi appena accennati. E così Naomi ha indossato la canotta Lakers numero 8 e ha twittato la sua prima foto informale con la coppa degli Us Open. «Ho indossato questa maglia ogni giorno dopo le mie partite. Penso davvero che mi abbia dato forza. Sempre». Questione di Mamba mentality. Quel non voler mollare in campo nemmeno un centimetro che aveva guidato la carriera di Kobe e che, a quanto pare, si sposa bene anche con la Osaka. Che, a 22 anni, mette in bacheca il terzo Slam con il record invidiabile di tre finali vinte su tre, alla faccia della ragazzina che può sentire la pressione della finale di un Major. 


IMPEGNO E MESSAGGI

D’altra parte la tennista giapponese ha un carattere d’acciaio impossibile da scalfire, che si tratti di un’avversaria o di un’eccessiva attenzione mediatica. Naomi è giovane e non solo non sente la pressione, ma addirittura se la crea intorno, se in ballo c’è un ideale. A New York l’abbiamo vista scendere in campo con sette mascherine nere tutte diverse: su ognuna c’era scritto il nome di un afroamericano vittima della violenza. L’ultima era dedicata a Tamir Rice, dodicenne ucciso dalla polizia in Ohio nel 2014. Dopo i vigliacchi colpi allaa schiena a Jacob Blake - quelli che hanno spinto i Bucks e poi tutta la Nba a non scendere in campo - è stata la prima a sposare la protesta, spostandola dal basket figlio dei ghetti al tennis delle famiglie più aristocratiche. Era in semifinale al torneo di Cincinnati, Naomi (ma si giocava sempre a New York), e il suo gesto forte, deciso, si è trascinato dietro sia la Wta che i colleghi dell’Atp. «Sono stanca di sentire quello che succede negli Stati Uniti, mi fa male allo stomaco», ha detto nella conferenza dopo la finale. Un impegno che ha cambiato anche la percezione che il suo Giappone ha di lei: se prima qualche sponsor aveva storto il naso di fronte alla forza del suo impegno politico, ora pesano le parole che le dedicano media ed esponenti politici: «Una vittoria contro il razzismo», è a grandi linee il ritornello. Di quelli che non sono mai cantati abbastanza. 
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Il Messaggero