«God came for his champion», Dio s’è preso il suo campione, è il tweet di Mike Tyson: ma Muhammad Alì era il campione di tutti, d’ogni...
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Sia che fosse Cassius Clay com’era nato, sia che fosse Muhammad Alì come si chiamò poi. Che combattesse al Madison square Garden o nella jungla di Kinshasa (Alì bumayè, urlava la folla: uccidilo) durante il “rumble in the jungle” in cui colpì Foreman, o che non combattesse proprio, come quando rifiutò la sporca guerra del Vietnam e fu accusato di diserzione e dovette lasciare gli Stati Uniti e la boxe.
Che fosse la roccia che era da pugile o la tremante icona che in una sera di Atlanta ’96, tremando, non riusciva ad accendere il braciere olimpico. Ma ci riuscì, come riuscì ad accendere ogni fiaccola nel cuore degli amanti della boxe, dello sport, della pace, della vita: sempre. Del resto una sua biografia s’intitola “il più grande di sempre”. Lo è stato: tra le corde e per le strade del mondo.
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Il Messaggero