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L’incendio brucia ancora dentro e non bastano 570 chilometri, e nemmeno cinque mesi, a spegnerlo. Dopo ventidue anni di Lazio, il trauma dell’addio è troppo fresco. Eppure già ci siamo, è arrivato quel momento: Inzaghi torna all’Olimpico da avversario. Chi se lo sarebbe mai immaginato sino allo scorso 27 maggio? Non certo Lotito. Sembra ieri il giorno del “tradimento” e lo sfogo del numero uno: «Gli avevo offerto il contratto cinque mesi prima a 2,6 milioni più bonus, lui aveva rimandato. Poi a cena avevamo concordato tutto per tre anni, la mattina non si è presentato per la firma e mi ha detto che non aveva più stimoli, non sapeva più come presentarsi alla squadra ed era arrivata l’ora di una nuova esperienza. Ognuno nella vita raccoglie quello che semina...». In realtà, all’Inter Simone sta volando in campionato, a maggior ragione Lotito vuole fermarlo. Per questo, dopo aver strigliato la squadra dopo il ko di Bologna, pretende solo il successo: «Vi ho già corrisposto tre mesi di stipendi in anticipo affinché non ci sia nessun alibi nella vostra testa. Adesso solo il risultato vi pagherà ancora...», la frase emblematica pronunciata a Formello la scorsa settimana. Ingaggi congelati in attesa della vittoria, nei prossimi giorni il presidente tornerà alla carica.
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SALTO TECNICO
Manifestazioni diverse dell’amore perduto. Perché Inzaghi rimane il condottiero che ha riaffollato l’Olimpico. Dopo anni intermittenti di divisioni, contestazioni, a tratti di buio, ha riacceso il fuoco di tutti i laziali sotto lo stesso simbolo. Era il centravanti dello scudetto di Eriksson, è stato il tecnico della rinascita spirituale della Lazio. Ha persino costretto Lotito ad alzare la posta e ingaggiare un allenatore di livello per sostituirlo: solo uno del calibro di Sarri poteva non far rimpiangere cinque anni di salti in alto. Ecco perché Inzaghi confida nel riconoscimento e non nel risentimento. Riabbraccerà Ciro Immobile e ogni altro suo ex figlioccio. In tanti lo rimpiangono e lo avrebbero seguito a Milano. C’aveva fatto più di un pensiero, Luis Alberto: «Ha salvato la mia carriera, per me era un padre e un amico». Era la bandiera di un popolo, si è auto-ammainato. Un reato contro se stesso e la Lazio: rivederlo sulla panchina nerazzurra all’Olimpico è vilipendio.
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Il Messaggero