C'eravamo tanto amati: la Lazio ritrova Simone Inzaghi

C'eravamo tanto amati: la Lazio ritrova Simone Inzaghi
di Alberto Abbate
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Mercoledì 13 Ottobre 2021, 00:51 - Ultimo aggiornamento: 20 Febbraio, 21:19

L’incendio brucia ancora dentro e non bastano 570 chilometri, e nemmeno cinque mesi, a spegnerlo. Dopo ventidue anni di Lazio, il trauma dell’addio è troppo fresco. Eppure già ci siamo, è arrivato quel momento: Inzaghi torna all’Olimpico da avversario. Chi se lo sarebbe mai immaginato sino allo scorso 27 maggio? Non certo Lotito. Sembra ieri il giorno del “tradimento” e lo sfogo del numero uno: «Gli avevo offerto il contratto cinque mesi prima a 2,6 milioni più bonus, lui aveva rimandato. Poi a cena avevamo concordato tutto per tre anni, la mattina non si è presentato per la firma e mi ha detto che non aveva più stimoli, non sapeva più come presentarsi alla squadra ed era arrivata l’ora di una nuova esperienza. Ognuno nella vita raccoglie quello che semina...». In realtà, all’Inter Simone sta volando in campionato, a maggior ragione Lotito vuole fermarlo. Per questo, dopo aver strigliato la squadra dopo il ko di Bologna, pretende solo il successo: «Vi ho già corrisposto tre mesi di stipendi in anticipo affinché non ci sia nessun alibi nella vostra testa. Adesso solo il risultato vi pagherà ancora...», la frase emblematica pronunciata a Formello la scorsa settimana. Ingaggi congelati in attesa della vittoria, nei prossimi giorni il presidente tornerà alla carica.

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Ha fissato in rosso questa data, pretende che la Lazio sazi la sua sete di “vendetta” e lo sforzo economico estivo per voltare pagina.

Cambio anche di linea - scaduto il contratto con la TayaraJet - per l’aereo biancoceleste brandizzato, che proprio con Inzaghi aveva volato l’ultima volta. La ferita è ancora aperta. D’altronde, direbbe Modugno, la lontananza fa dimenticare chi non s’ama. E Inzaghi e Lotito si sono tanto amati, prima del voltafaccia. Il patron lo aveva promosso in prima squadra ad aprile 2016 quasi per coincidenza fortuita: da allora, due Supercoppe italiane (2017 e 2019), una Coppa Italia (2019), praticamente sempre in Europa, con l’accesso in Champions League dopo 13 anni nel 2020 come ciliegina. Il 23 maggio 2021 l’ultima partita da allenatore biancoceleste per Inzaghi a Reggio Emilia. Quattro giorni dopo la rottura: Simone diceva che la Lazio era la sua priorità, in una notte ha prevalso la carriera. E molti tifosi non gli perdonano proprio il testacoda. In questi giorni il dibattito su social e radio già divampa: c’è chi giura che lo fischierà, chi lo ignorerà, chi piangerà. Il popolo si divide sull’accoglienza. Inzaghi ha già promesso che andrà a salutare la curva, la Nord ricambierà con uno striscione di ringraziamenti e stima. 

SALTO TECNICO
Manifestazioni diverse dell’amore perduto. Perché Inzaghi rimane il condottiero che ha riaffollato l’Olimpico. Dopo anni intermittenti di divisioni, contestazioni, a tratti di buio, ha riacceso il fuoco di tutti i laziali sotto lo stesso simbolo. Era il centravanti dello scudetto di Eriksson, è stato il tecnico della rinascita spirituale della Lazio. Ha persino costretto Lotito ad alzare la posta e ingaggiare un allenatore di livello per sostituirlo: solo uno del calibro di Sarri poteva non far rimpiangere cinque anni di salti in alto. Ecco perché Inzaghi confida nel riconoscimento e non nel risentimento. Riabbraccerà Ciro Immobile e ogni altro suo ex figlioccio. In tanti lo rimpiangono e lo avrebbero seguito a Milano. C’aveva fatto più di un pensiero, Luis Alberto: «Ha salvato la mia carriera, per me era un padre e un amico». Era la bandiera di un popolo, si è auto-ammainato. Un reato contro se stesso e la Lazio: rivederlo sulla panchina nerazzurra all’Olimpico è vilipendio. 
 

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