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TRA AMORE E MARKETING
Spontaneo è stato il tributo che l'America con i colori avversari gli ha riservato strada facendo. Dal 30 novembre, il giorno dello struggente annuncio dell'addio, della poesia al basket che ha tanto amato e che ora lo tradisce con il Signor Tempo, la stagione di Bryant è stata una continua dimostrazione di affetto. Tutti gli avversari gli hanno riservato ovazioni quando hanno potuto ammirarlo per l'ultima volta. Applausi scroscianti e cori persino sul parquet dei Boston Celtics, i rivali di sempre che ancora si mangiano le mani per il titolo perso nel 2010, quando si trovarono in vantaggio per 3-2 e con una squadra oggettivamente più forte. Già, ma dall'altra parte c'era il numero 24, che non a caso venne eletto miglior giocatore di quelle Finals. La parte meno spontanea, invece, l'hanno messa su i Lakers e la Nike, di cui Kobe è da sempre testimonial. Uno show totale tra media e parquet. Il “Mamba Day” l'ha chiamato l'azienda sportiva che, per l'occasione, ha creato delle scarpe esclusive per il suo campione, nere e oro con la stampa sul tallone della data 4/13, con il mese anticipato secondo gli usi americani. Il golfista Rory McIlroy le ha già indossate sui green dell'Augusta Masters per un omaggio a distanza a Bryant. Spontaneità o marketing? Diciamo entrambi.
DOPO LA FESTA
I saluti e gli ultimi canestri allo Staples Center e poi? E poi resteranno le immagini e le domande. Le istantanee delle imprese, dalla notte da 81 punti contro Toronto (2006) alle 12 triple segnate a Seattle nel 2003, dalle polemiche con il compagno di tre titoli Shaquille O'Neal (ma che coppia che erano...) alle vittorie Olimpiche con il Dream Team Usa a Pechino e Londra. I tifosi di casa nostra portano nel cuore un must da YouTube: i dialoghi in campo in italiano con Sasha Vujacic (per tre anni a Udine e quindi padrone della lingua come Kobe, che nel nostro Paese ci è cresciuto insieme a papà Joe). Nelle Finals contro i Celtics, Vujacic va in lunetta e Kobe lo incoraggia così: «Se lo vuoi avere (il titolo Nba), devi segnare, caz...» e Vujacic se la ride. Le domande invece sono le solite. Avrebbe dovuto ritirarsi prima? Il suo ostinarsi a scendere in campo nonostante le precarie condizioni è stato un fardello per i Lakers che faticosamente stanno cercando di costruire il futuro con i giovani? Ma soprattutto: è stato il più grande della Nba? Forse no, ma il più popolare a livello mondiale probabilmente sì.
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Il Messaggero