Kobe scrive il lieto fine: stanotte gara d'addio contro Utah

Kobe scrive il lieto fine: stanotte gara d'addio contro Utah
di Gianluca Cordella
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Mercoledì 13 Aprile 2016, 16:29 - Ultimo aggiornamento: 16:52
Oltre il ritorno di Michael Jordan dopo l'esilio volontario nel baseball. Oltre la notte di “The decision” in cui LeBron James annunciò in diretta tv la sua partenza da Cleveland, destinazione South Beach, Miami. Oltre tutto e, chissà, forse anche oltre tutti. Saranno la storia e il dibattito nella pubblica piazza a dire se il ritiro di Kobe Bryant sia “solo” l'evento mediaticamente più importante vissuto dalla Nba negli ultimi 25 anni o anche un punto di svolta per la lega americana che dovrà fare i conti, dall'ultimo scorcio del 2016 in poi, con l'assenza del suo giocatore simbolo nel mondo, del campione che nel bene e nel male ha dominato gli ultimi 20 anni. Del più forte in assoluto, secondo alcuni. Il canto del cigno è in programma stanotte, quando in Italia saranno le 4.30. Contro gli Utah Jazz Kobe Bryant vestirà per l'ultima volta la canotta gialloviola dei Lakers e, più in generale, regalerà magie fin dove il suo fisico glielo consentirà per l'ultima volta in carriera. Sarà un canto del cigno rock sulle note del basso di Flea dei Red Hot Chili Peppers probabile esecutore dell'inno nazionale prima del match. Uno dei tanti tasselli di uno show costruitosi intorno all'addio cestistico del Black Mamba a metà strada tra lo spontaneo e il sapientemente studiato.

TRA AMORE E MARKETING
Spontaneo è stato il tributo che l'America con i colori avversari gli ha riservato strada facendo. Dal 30 novembre, il giorno dello struggente annuncio dell'addio, della poesia al basket che ha tanto amato e che ora lo tradisce con il Signor Tempo, la stagione di Bryant è stata una continua dimostrazione di affetto. Tutti gli avversari gli hanno riservato ovazioni quando hanno potuto ammirarlo per l'ultima volta. Applausi scroscianti e cori persino sul parquet dei Boston Celtics, i rivali di sempre che ancora si mangiano le mani per il titolo perso nel 2010, quando si trovarono in vantaggio per 3-2 e con una squadra oggettivamente più forte. Già, ma dall'altra parte c'era il numero 24, che non a caso venne eletto miglior giocatore di quelle Finals. La parte meno spontanea, invece, l'hanno messa su i Lakers e la Nike, di cui Kobe è da sempre testimonial. Uno show totale tra media e parquet. Il “Mamba Day” l'ha chiamato l'azienda sportiva che, per l'occasione, ha creato delle scarpe esclusive per il suo campione, nere e oro con la stampa sul tallone della data 4/13, con il mese anticipato secondo gli usi americani. Il golfista Rory McIlroy le ha già indossate sui green dell'Augusta Masters per un omaggio a distanza a Bryant. Spontaneità o marketing? Diciamo entrambi.

DOPO LA FESTA
I saluti e gli ultimi canestri allo Staples Center e poi? E poi resteranno le immagini e le domande. Le istantanee delle imprese, dalla notte da 81 punti contro Toronto (2006) alle 12 triple segnate a Seattle nel 2003, dalle polemiche con il compagno di tre titoli Shaquille O'Neal (ma che coppia che erano...) alle vittorie Olimpiche con il Dream Team Usa a Pechino e Londra. I tifosi di casa nostra portano nel cuore un must da YouTube: i dialoghi in campo in italiano con Sasha Vujacic (per tre anni a Udine e quindi padrone della lingua come Kobe, che nel nostro Paese ci è cresciuto insieme a papà Joe). Nelle Finals contro i Celtics, Vujacic va in lunetta e Kobe lo incoraggia così: «Se lo vuoi avere (il titolo Nba), devi segnare, caz...» e Vujacic se la ride. Le domande invece sono le solite. Avrebbe dovuto ritirarsi prima? Il suo ostinarsi a scendere in campo nonostante le precarie condizioni è stato un fardello per i Lakers che faticosamente stanno cercando di costruire il futuro con i giovani? Ma soprattutto: è stato il più grande della Nba? Forse no, ma il più popolare a livello mondiale probabilmente sì.
 
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