Senza fiato. Soprattutto. Abbiamo via via scoperto che il Porto corre più e meglio della Roma, che l’Eintracht corre più e meglio dell’Inter, che...
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MANCANO LE IDEE
Senza fiato. Ma anche senza idee. Tutte fuori dall’Europa dopo aver giocato peggio delle rispettive rivali. In modo meno aggressivo e meno propositivo. Gli allenatori italiani preparano troppo le partite sugli avversari. Sono maestri di tattica, dicono. Ma di tattica stiamo soffocando. Se costringi Dybala a marcare De Jong è la fine del calcio, oltre che la fine di Dybala.
NON CI SI DIVERTE
Senza fiato. E senza voglia di divertire e divertirsi. Vedendo il calcio in questo modo – il risultato è l’unica cosa che conta, chi gioca pulito non vince, per lo spettacolo andate al circo e altre amenità – poi è ovvio che la gente fugge dagli stadi. Alla fine degli Anni Novanta, quando il calcio italiano, sull’onda della rivoluzione sacchiana, era il più bello del mondo, la media spettatori in Serie A era di 29.700, in Bundesliga 28.900 e in Premier League 30.900. Oggi in Italia siamo a 24.700, in Germania a 44.650 e in Inghilterra a 38.300.
Senza fiato. Anche perché senza soldi. Non abbiamo stadi comodi, sicuri e di proprietà. Se giochi male, il resto del mondo ti snobba e perciò le entrate commerciali non decollano. I ricavi continuano a dipendere dai diritti tv, il cui valore, con le nuove modalità di visione delle partite, è destinato a calare. Nel 2002 le entrate di Barcellona e Roma erano allo stesso livello (139 milioni a 137), oggi il Barcellona fattura 2.76 volte la Roma (690 milioni a 250). Abbiamo vent’anni di ritardo. E il fiato corto. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero