Il Centrale scopre il talento del romano Berrettini: «Ammiro l'estro di Fognini»

Matteo Berrettini (Paolo Caprioli)
Ventuno anni, un rovescio da migliorare, ma tanta voglia di tornare a sentire il boato del Centrale. Matteo Berrettini -  romano, classe 1996 - si è presentato per la...

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Ventuno anni, un rovescio da migliorare, ma tanta voglia di tornare a sentire il boato del Centrale. Matteo Berrettini -  romano, classe 1996 - si è presentato per la prima volta davanti al pubblico degli Internazionali, con l’inesperienza e l’irriverenza di chi non è abituato a certi palcoscenici. Qualificatosi grazie alla terza wild card per il main draw, si è fermato, come prevedibile, al primo turno contro Fabio Fognini. Settanta minuti di match senza storia e un 61 63 più che giusto. Un primo giudizio sul talento romano l’ha espresso Fognini alla fine del match: «A prescindere dalla parte atletica, penso che debba migliorare il rovescio, perché servizio e diritto ci sono. Non ci avevo mai giocato contro, ma può far bene in futuro», ha detto il numero uno azzurro. Berrettini non ha avuto grande margine per mostrare il suo talento, anche se - nel quinto game del primo set e nel secondo set - ha indovinato colpi interessanti. Soprattutto qualche smorzata: «È un colpo che usavo molto da piccolo perché non avevo forza da fondo. L’ho voluto riscoprire ultimamente», ha ammesso il giovane tennista.


Ammira «l’imprevedibilità e il carattere di Fognini», ma s’ispira soprattuto allo stile di un altro romano: Flavio Cipolla. «Fognini è un giocatore da tutti i colpi, si muove molto bene. Abbiamo caratteristiche differenti, ma mi piacerebbe rubare qualche segreto dalla sua personalità: ammiro il modo in cui riesce a ribaltare le situazione. È molto estroso». Berrettini, invece, ad eccezione dell’ultimo game del primo set con 18 punti tiratissimi - ha dimostrato di dover crescere sotto il profilo caratteriale: «Mi sentivo come in una bolla. È stata una bella sensazione, ma avevo parecchia tensione. Ho comunque imparato tanto e spero che non sia l’ultima volta».  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero