Cina, la nuova frontiera del calcio a suon di yuan

Lavezzi
C'era una volta l'America, e con l'America un certo modo di arrivarci. Il pallone è cambiato: rotola sempre più verso l'estremo oriente, e poco si...

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C'era una volta l'America, e con l'America un certo modo di arrivarci. Il pallone è cambiato: rotola sempre più verso l'estremo oriente, e poco si può opporre alla tendenza, perché a vivificarla è la potenza dei soldi. Tutte le mappe disegnate dalle ultime settimane indicano un'unica direzione, vale a dire il sentiero che porta alla Cina. Come si diceva, l'infinita energia del calcio cinese è affiorata specie durante il mese di gennaio: perché, nel breve andare di venti giorni, i 16 club della Super League di Pechino si sono letteralmente comprati mezza Europa. La rivolozione più eclatante, a ben pensarci, però ha riguardato per così dire il profilo medio del giocatore pronto a sbarcare ai piedi della Grande Muraglia: non più il campione ormai avviato lungo il viale del tramonto, ma il talento ancora a mollo nel fiore della carriera, e nel fiume della popolarità. Una mutazione incredibile.


UN MARE DI YUAN
È chiaro dunque che la Serie A cinese, animata da un oceano di denaro, abbia cominciato a sfilare calciatori di tutto rilievo alle squadre del nostro continente. Così Alex Teixeira ha lasciato lo Shakhtar per volare allo Jiangsu Suning, Jackson Martinez ha salutato l'Atletico Madrid e si è accasato al Guangzhou di Scolari, Renato Augusto è atterrato al Beijing Guoan di Zaccheroni. L'avventura orientale (o il pagamento in yuan) dev'essere piaciuto particolarmente anche all'ex del Chelsea, Ramires, all'ex romanista Gervinho, all'ex interista Guarin e perfino a Lavezzi, finora stipendiato a peso d'oro dagli sceicchi del Psg. Tutti sono planati nella Repubblica popolare più conosciuta dell'Asia. Per una particolare asimmetria, però, al momento i cinesi non replicano nel calcio l'arte di cui sono maestri e depositari sul piano mondiale: l'esportazione. Quindi, curiosamente, il loro pallone attira campioni dall'estero, ma non ne scambia. È un progetto a gittata lunga, questo è evidente: studiato però solo per calamitare.

L'ACROBAZIA

Al di là dell'aspetto finanziario, a stupire molto è il risvolto sportivo. Perché, guardando in controluce le recenti operazione di mercato, si intravede un profondo cambiamento del vocabolario dei calciatori e dei loro procuratori. Per esemplificare, basta annotare che ora il desiderio di coltivare ambizioni sportive, e di avere il privilegio di calcare i prestigiosi palcoscenici europei, si va spegnendo nella assoluta ricerca del denaro. Yuan batte Champions tantissimo a nulla, si direbbe. Fino a qualche tempo fa, il campione giunto alla fine della carriera sceglieva di spendere le energie finali guadagnando montagne di dollari in America, o in Qatar, o a Dubai. È vero che quei tornei valevano (e valgono) poco, ma il ritorno economico era (ed è) considerevole. Adesso, invece, nonostante il campionato cinese sia ancora calcisticamente infimo, perfino il giocatore europeo o sudamericano di 25 o 30 anni anni accetta l'offerta del signor Cai Zhenhua, il presidente della federcalcio di Pechino. Forse l'Europa ha perso il ruolo di sacerdotessa del pallone, o forse il denaro del Dragone stavolta è davvero irrinunciabile. Di certo Pelé, Beckenbauer, Chinaglia, Raul hanno reso famoso nel mondo il marchio dei New York Cosmos. Addirittura Cruijff ha tentato l'avventura a Los Angeles e a Washington. Pirlo ora è a New York. E tutti erano al tramontare della carriera. Ma è stata la Cina a compiere l'acrobazia in cui l'America non è mai riuscita, o non ha mai ha creduto: convincere il pianeta che la bellezza del futuro del calcio non passi solo attraverso le vie europee. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero