UN MARE DI YUAN
È chiaro dunque che la Serie A cinese, animata da un oceano di denaro, abbia cominciato a sfilare calciatori di tutto rilievo alle squadre del nostro continente. Così Alex Teixeira ha lasciato lo Shakhtar per volare allo Jiangsu Suning, Jackson Martinez ha salutato l'Atletico Madrid e si è accasato al Guangzhou di Scolari, Renato Augusto è atterrato al Beijing Guoan di Zaccheroni. L'avventura orientale (o il pagamento in yuan) dev'essere piaciuto particolarmente anche all'ex del Chelsea, Ramires, all'ex romanista Gervinho, all'ex interista Guarin e perfino a Lavezzi, finora stipendiato a peso d'oro dagli sceicchi del Psg. Tutti sono planati nella Repubblica popolare più conosciuta dell'Asia. Per una particolare asimmetria, però, al momento i cinesi non replicano nel calcio l'arte di cui sono maestri e depositari sul piano mondiale: l'esportazione. Quindi, curiosamente, il loro pallone attira campioni dall'estero, ma non ne scambia. È un progetto a gittata lunga, questo è evidente: studiato però solo per calamitare.
L'ACROBAZIA
Al di là dell'aspetto finanziario, a stupire molto è il risvolto sportivo. Perché, guardando in controluce le recenti operazione di mercato, si intravede un profondo cambiamento del vocabolario dei calciatori e dei loro procuratori. Per esemplificare, basta annotare che ora il desiderio di coltivare ambizioni sportive, e di avere il privilegio di calcare i prestigiosi palcoscenici europei, si va spegnendo nella assoluta ricerca del denaro. Yuan batte Champions tantissimo a nulla, si direbbe. Fino a qualche tempo fa, il campione giunto alla fine della carriera sceglieva di spendere le energie finali guadagnando montagne di dollari in America, o in Qatar, o a Dubai. È vero che quei tornei valevano (e valgono) poco, ma il ritorno economico era (ed è) considerevole. Adesso, invece, nonostante il campionato cinese sia ancora calcisticamente infimo, perfino il giocatore europeo o sudamericano di 25 o 30 anni anni accetta l'offerta del signor Cai Zhenhua, il presidente della federcalcio di Pechino. Forse l'Europa ha perso il ruolo di sacerdotessa del pallone, o forse il denaro del Dragone stavolta è davvero irrinunciabile. Di certo Pelé, Beckenbauer, Chinaglia, Raul hanno reso famoso nel mondo il marchio dei New York Cosmos. Addirittura Cruijff ha tentato l'avventura a Los Angeles e a Washington. Pirlo ora è a New York. E tutti erano al tramontare della carriera. Ma è stata la Cina a compiere l'acrobazia in cui l'America non è mai riuscita, o non ha mai ha creduto: convincere il pianeta che la bellezza del futuro del calcio non passi solo attraverso le vie europee.
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