E Pallotta-Mericoni salutò la città con un murale firmato Harry Grab

E Pallotta-Mericoni salutò la città con un murale firmato Harry Grab
Con gli stadi chiusi al pubblico e la stagione giallorossa ormai finita, con la pessima prova di Duisburg contro il Siviglia, il “saluto” a James Pallotta non è...

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Con gli stadi chiusi al pubblico e la stagione giallorossa ormai finita, con la pessima prova di Duisburg contro il Siviglia, il “saluto” a James Pallotta non è potuto arrivare dagli spalti. È stato senz’altro meglio così per l’imprenditore di Boston che, pur contumace, avrebbe fatto il pieno di fischi e insulti tanto era il disamore ormai maturato con la piazza. Ultrà e semplici appassionati hanno affidato ai social il loro addio a Pallotta, catalogato alla voce “Liberazione” quasi si trattasse della caduta di una tirannia.

Ma a Roma fin dai tempi di Pasquino è la Strada a emettere le sue sentenze, a dare un senso compiuto alla storia. La voce popolare che ha archiviato a modo suo le gesta di Papa e di Re, prosegue nel tempo e dà una dimensione a ciò che scorre di fianco al pigro Tevere. Ci si adegua ai tempi e allora, per dare il benservito a mister James Pallotta da Boston che in 8 anni di presidenza non è riuscito a conquistare un solo titolo portando l’astinenza romanista a 12 stagioni (un record negativo per la società giallorossa dagli anni ‘60 a oggi), scatta l’ironia del murale.

Così Harry Greb, lo street artist di Montesacro che si nasconde dietro il nome del mitico pugile americano dei primi del Novecento e che sui muri della città racconta gli eventi dell’attualità come l’emergenza Covid il caso George Floyd e la scomparsa di Ennio Morricone, ha salutato a modo suo l’ormai ex presidente giallorosso. Ha disegnato James Pallotta nei panni dell’Americano a Roma Nando Mericoni che con una valigia piena di dollari (con l’effigie di Topolino) lascia la città per tornare a Boston dicendo nel fumetto: «Io c’ho avuto ‘a malattia che m’ha bloccato», parafrasando l’immortale battuta di Alberto Sordi. Il murale è apparso a Ponte Duca D’Aosta, proprio di fronte allo Stadio Olimpico e l’aver preso in prestito il capolavoro di Albertone è un modo palese per rinfacciare a Pallotta il suo non essersi mai voluto far contagiare veramente dalla romanità, l’averla tenuta sempre a distanza quasi temendola. Mai una battuta in italiano, nemmeno per scherzo nonostante le radici reatine. Non sono bastati i tuffi nella piscina di Trigoria all’alba della sua esperienza o quello (per altro vietato dalla legge) nella fontana dei Leoni a Piazza del Popolo nella notte di festa (l’unica) per la semifinale di Champions centrata con il 3-0 al Barcellona, per convincere i romanisti di essere diventato uno di loro. Pallotta, che da due anni e mezzo non mette più piede nella Capitale e non ha mai visitato la nuova sede della Roma all’Eur, lascia la Roma salutato come una macchietta. Con il sarcasmo romano, che sa essere più duro di qualsiasi insulto. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero