E Pallotta-Mericoni salutò la città con un murale firmato Harry Grab

E Pallotta-Mericoni salutò la città con un murale firmato Harry Grab
di Romolo Buffoni
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Sabato 8 Agosto 2020, 09:34 - Ultimo aggiornamento: 16:17
Con gli stadi chiusi al pubblico e la stagione giallorossa ormai finita, con la pessima prova di Duisburg contro il Siviglia, il “saluto” a James Pallotta non è potuto arrivare dagli spalti. È stato senz’altro meglio così per l’imprenditore di Boston che, pur contumace, avrebbe fatto il pieno di fischi e insulti tanto era il disamore ormai maturato con la piazza. Ultrà e semplici appassionati hanno affidato ai social il loro addio a Pallotta, catalogato alla voce “Liberazione” quasi si trattasse della caduta di una tirannia.
Ma a Roma fin dai tempi di Pasquino è la Strada a emettere le sue sentenze, a dare un senso compiuto alla storia. La voce popolare che ha archiviato a modo suo le gesta di Papa e di Re, prosegue nel tempo e dà una dimensione a ciò che scorre di fianco al pigro Tevere. Ci si adegua ai tempi e allora, per dare il benservito a mister James Pallotta da Boston che in 8 anni di presidenza non è riuscito a conquistare un solo titolo portando l’astinenza romanista a 12 stagioni (un record negativo per la società giallorossa dagli anni ‘60 a oggi), scatta l’ironia del murale.
Così Harry Greb, lo street artist di Montesacro che si nasconde dietro il nome del mitico pugile americano dei primi del Novecento e che sui muri della città racconta gli eventi dell’attualità come l’emergenza Covid il caso George Floyd e la scomparsa di Ennio Morricone, ha salutato a modo suo l’ormai ex presidente giallorosso. Ha disegnato James Pallotta nei panni dell’Americano a Roma Nando Mericoni che con una valigia piena di dollari (con l’effigie di Topolino) lascia la città per tornare a Boston dicendo nel fumetto: «Io c’ho avuto ‘a malattia che m’ha bloccato», parafrasando l’immortale battuta di Alberto Sordi. Il murale è apparso a Ponte Duca D’Aosta, proprio di fronte allo Stadio Olimpico e l’aver preso in prestito il capolavoro di Albertone è un modo palese per rinfacciare a Pallotta il suo non essersi mai voluto far contagiare veramente dalla romanità, l’averla tenuta sempre a distanza quasi temendola. Mai una battuta in italiano, nemmeno per scherzo nonostante le radici reatine. Non sono bastati i tuffi nella piscina di Trigoria all’alba della sua esperienza o quello (per altro vietato dalla legge) nella fontana dei Leoni a Piazza del Popolo nella notte di festa (l’unica) per la semifinale di Champions centrata con il 3-0 al Barcellona, per convincere i romanisti di essere diventato uno di loro. Pallotta, che da due anni e mezzo non mette più piede nella Capitale e non ha mai visitato la nuova sede della Roma all’Eur, lascia la Roma salutato come una macchietta. Con il sarcasmo romano, che sa essere più duro di qualsiasi insulto.
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