“Tumbas. Tombe di poeti e pensatori” (Iperborea, pag. 375, 20 €) di Cees Nooteboom (e con le fotografie di Simone Sassen) mantiene ciò che il titolo...
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Sfogliando le pagine di “Tumbas” la seconda reazione è di ripensare alle tombe degli artisti visitate in prima persona, che subito vanno a mescolarsi a quelle del libro, offrendo a chi legge (e guarda) una sensazione tipica della vera letteratura: l’impressione che il confine tra realtà e immaginazione in questo genere di esperienze cimiteriali sia molto labile. Per il sottoscritto, le tombe imprescindibili sono tre: quella di Camus nel cimitero di campagna di Lourmarine, trovata per caso in una sosta di un viaggio iniziatico in Provenza; quella di Maupassant nel rumorosissimo cimitero parigino di Montparnasse, causa di una seppur breve riappacificazione amorosa; quella del Carducci a Bolgheri, dove una guida zelante che sembrava uscita da un film di Pieraccioni decantò le gesta del poeta per un’offerta a piacere.
D’altronde qualsiasi avventura al cimitero non può che essere così, sul limitare di due mondi, sul bordo tra aldiquà e aldilà. Come poter definire questa smania che ci prende, questo voler a tutti i costi essere notati dai morti? Nooteboom scrive nell’introduzione: “Chi è morto non si trova più da nessuna parte, nemmeno nella propria tomba. Le tombe sono ambigue: custodiscono qualcosa e non custodiscono più niente (…) Qualsiasi cosa facciamo con le tombe è irrazionale. Portiamo fiori per nessuno, strappiamo erbacce per nessuno. Eppure continuiamo a farlo. C’è ancora qualcosa che vogliamo dai morti. Nel segreto del nostro cuore pensiamo che lui, o lei, ci veda”.
Tra tutte le tombe del registro funebre compilato da Nooteboom, le più commoventi sono quelle trascurate, i mausolei andati in rovina, i sepolcri coperti d’erbacce. Il primo premio di questa struggente classifica lo vince forse Ludwig Wittgenstein (non lontano giace la sua allieva nonché confidente prediletta, Elizabeth Anscombe), il quale a Cambridge è sistemato in un prato pieno d’erbacce- oltre che di fellows, tutors, professori e altri trapassati eruditi vari-, e per scovarlo bisogna farsi largo tra un groviglio di ciuffi d’edera. Ancora Nooteboom dall’introduzione: “Siamo venuti qui per manifestare il nostro accordo, per essere in prossimità di parole già pronunciate. Chi ha scritto quelle parole è morto, ma le parole vivono ancora. Per questo siamo venuti qui: per ascoltare di nuovo quelle parole nel silenzio della morte”.
Twitter: @LuRicci74 Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero