Tumbas, un viaggio tra le tombe di scrittori, poeti e pensatori

Tumbas, un viaggio tra le tombe di scrittori, poeti e pensatori
di Luca Ricci
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Sabato 6 Febbraio 2016, 11:49
“Tumbas. Tombe di poeti e pensatori” (Iperborea, pag. 375, 20 €) di Cees Nooteboom (e con le fotografie di Simone Sassen) mantiene ciò che il titolo promette, e conduce chi legge (e guarda) in un cimitero artistico fatto da decine di loculi illustri. Le foto delle lapidi sono accompagnate da brevi necrologi scritti per l’occasione, così di Flaubert si può leggere: “In autobus verso il regno dei morti. La tomba di Flaubert se ne sta bianca e sottile accanto a quella dei genitori: strano che le tombe siano più antiquate delle opere di chi riposa al loro interno”. Oppure di Nabokov: “Il cimitero di Montreux ha l’aria di essere quello dei clienti del Montreux Palace: ricco, elegante, esclusivo. Per abituarmici ho bevuto un bicchiere di vino del Palace, dove lo scrittore ha trascorso gli ultimi diciassette anni della sua esistenza. Nabokov credeva in una vita dopo la morte e ora sa, o non sa, se aveva ragione”.

Sfogliando le pagine di “Tumbas” la seconda reazione è di ripensare alle tombe degli artisti visitate in prima persona, che subito vanno a mescolarsi a quelle del libro, offrendo a chi legge (e guarda) una sensazione tipica della vera letteratura: l’impressione che il confine tra realtà e immaginazione in questo genere di esperienze cimiteriali sia molto labile. Per il sottoscritto, le tombe imprescindibili sono tre: quella di Camus nel cimitero di campagna di Lourmarine, trovata per caso in una sosta di un viaggio iniziatico in Provenza; quella di Maupassant nel rumorosissimo cimitero parigino di Montparnasse, causa di una seppur breve riappacificazione amorosa; quella del Carducci a Bolgheri, dove una guida zelante che sembrava uscita da un film di Pieraccioni decantò le gesta del poeta per un’offerta a piacere.
 
D’altronde qualsiasi avventura al cimitero non può che essere così, sul limitare di due mondi, sul bordo tra aldiquà e aldilà. Come poter definire questa smania che ci prende, questo voler a tutti i costi essere notati dai morti? Nooteboom scrive nell’introduzione: “Chi è morto non si trova più da nessuna parte, nemmeno nella propria tomba. Le tombe sono ambigue: custodiscono qualcosa e non custodiscono più niente (…) Qualsiasi cosa facciamo con le tombe è irrazionale. Portiamo fiori per nessuno, strappiamo erbacce per nessuno. Eppure continuiamo a farlo. C’è ancora qualcosa che vogliamo dai morti. Nel segreto del nostro cuore pensiamo che lui, o lei, ci veda”.
 
Tra tutte le tombe del registro funebre compilato da Nooteboom, le più commoventi sono quelle trascurate, i mausolei andati in rovina, i sepolcri coperti d’erbacce. Il primo premio di questa struggente classifica lo vince forse Ludwig Wittgenstein (non lontano giace la sua allieva nonché confidente prediletta, Elizabeth Anscombe), il quale a Cambridge è sistemato in un prato pieno d’erbacce- oltre che di fellows, tutors, professori e altri trapassati eruditi vari-, e per scovarlo bisogna farsi largo tra un groviglio di ciuffi d’edera. Ancora Nooteboom dall’introduzione: “Siamo venuti qui per manifestare il nostro accordo, per essere in prossimità di parole già pronunciate. Chi ha scritto quelle parole è morto, ma le parole vivono ancora. Per questo siamo venuti qui: per ascoltare di nuovo quelle parole nel silenzio della morte”.

Twitter: @LuRicci74
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