Sartori, il principe dei politologi che sapeva restare fuori dagli schemi

Giovanni Sartori
Fu lui a coniare termini come Mattarellum” o Porcellum”, entrati nel comune lessico giornalistico per designare le riforme elettorali degli anni Novanta. Fu sempre lui...

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Fu lui a coniare termini come Mattarellum” o Porcellum”, entrati nel comune lessico giornalistico per designare le riforme elettorali degli anni Novanta. Fu sempre lui ad analizzare la fine dei partiti,  definiti “pure macchine di potere clientelare”. Impossibile riformarli, “o muoiono o continuano così, perché non c'è nessuna capacità di rimetterli in ordine”. Giovanni Sartori era un polemista sempre lucido e capace di cogliere, dal particolare, l’essenziale. Professore emerito alla Columbia University di New York e all’Università di Firenze, padre della scienza politica italiana, aveva 92 anni. Nel 2005 aveva ricevuto il Premio Principe delle Asturie, che viene un po’ considerato il Nobel delle scienze sociali; ma era il titolo di accademico ai Lincei quello di cui andava più fiero. L’ultima sua apparizione pubblica risale ormai al 12 maggio dell’anno scorso, quando gli fu dedicata una sala nella biblioteca del Senato (a cui aveva donato ben settemila volumi). Editorialista del Corriere della Sera si potrebbe dire da sempre, almeno da quando ne era direttore Spadolini.


Sartori è morto nella sua casa romana tre giorni fa; ma soltanto oggi ne è stata data notizia, per sua espressa volontà. Una decisione che potrebbe sembrare bizzarra, in una persona comunque sempre fuori dagli schemi. Come politologo e come sociologo ha scritto di temi come l’immigrazione, l’ambiente, la sovrappopolazione. O di uno dei nosti vizi più diffusi, la televisione, come nel libro “Homo videns”. Erano celebri le sue battute fulminanti. Come quando disse di Berlusconi (a Porta a Porta) che “le azzecca. Perché le dice tutte, perciò a volte ci prende”. O quando descrisse il giovane Obama, studente alla Columbia: “Da giovane, da "più giovane", era un lavativo. Dai miei corsi, che erano corsi temuti, ha girato alla larga, non l'ho mai visto”.Sarebbe impossibile elencare tutti i suoi libri, molti dei quali con un taglio divulgativo, altri in inglese, lingua in cui scrisse nel 1976 quello che viene considerato il suo testo di riferimento, “Parties and Party System”. Un tema sviluppato anche in chiave italiana, con una serie di libri successivi. Di certo, con la sua scomparsa il mondo perde una grande autorità nel campo della teoria della democrazia e dei sistemi di partito, nel mondo accademico non solo italiano. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero