Potreste anche non conoscere il nome di Isao Takahata, fondatore con Miyazaki dello Studio Ghibli e a lungo suo complice. In questo caso la colpa, per così dire, è proprio del...
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La Luna del resto ha un ruolo fondamentale anche in questo Storia della principessa splendente, sugli schermi solo dal 3 al 5 novembre purtroppo (in rete già volano le frecciate degli appassionati, che sperano di non dover pagare biglietti maggiorati come accaduto con SI alza il vento di Miyazaki...). Una fiaba del IX secolo che in Giappone tutti conoscono e che Takahata porta sullo schermo con mano eclettica e sapientissima, fondendo matite e acquarelli in una sorta di ricapitolazione ideale di tutte le grandi correnti dell’arte nipponica.
Intitolata in origine Racconto del tagliatore di bambù, la fiaba è infatti divisa in due parti, una dedicata all’infanzia, l’altra alla vita adulta della principessa. Nata letteralmente e prodigiosamente dentro una canna di bambù, la futura principessina cresce a vista d’occhio godendo di tutte le gioie e tutti i sapori della Natura, accudita dai suoi due anziani “genitori”, il tagliatore di bambù e sua moglie, che non avendo avuto figli accettano con stupore e riconoscenza quel dono inspiegabile, ricambiati con altrettanta meraviglia da quella bambina prodigiosa.
Fino a quando dal bambù non iniziano a piovere anche oro e stoffe pregiate, e la piccola selvaggia che giocava con le rane e con i figli dei contadini, si ritrova suo malgrado alla corte dell’imperatore, circondata di ancelle e trasformata in una giovinetta aristocratica dalle maniere impeccabili quanto artefatte, mentre anche i suoi genitori si adeguano (comicamente) al loro nuovo status e lo stile del disegno si piega verso la caricatura...
Ma è solo l’inizio. Perché la sua bellezza suscita l’interesse per non dire il desiderio (i giapponesi sanno essere espliciti con molta eleganza) dei più alti dignitari e poi dell’imperatore stesso, in un crescendo di profferte e vanterie di cui la giovinetta saprà prendersi gioco con (involontaria) crudeltà. Per spingersi poco a poco, dopo un tentativo di fuga e la breve apparizione del suo primo amore, verso una consapevolezza sempre più dolorosa che culmina nel sorprendente epilogo “celeste”. In cui peraltro compare, innominato, Buddha in persona...
Si scopre infatti che la piccola nata dal bambù veniva appunto dalla Luna, regno delle essenze e della perfezione (ma anche del gelo, pare di capire), e alla Luna dovrà tornare. Rinunciando a tutto ciò che ha conosciuto sulla Terra, alla sua gioia e alle sue imperfezioni, ai suoi piaceri mortali e alle sue non meno mortali illusioni. Con uno strazio che l’arditezza stilistica di questo film costato otto anni di lavoro rende ancora più struggente.
Una meditazione sulla finitezza della vita, insomma, e sul suo irrinunciabile splendore, condotta con la semplicità e l’immediatezza del cinema d’animazione da uno dei pochi veri, grandi maestri di questa autentica arte popolare.
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Il Messaggero