La struttura dei giardini, l'equilibrio di una piazza nel contesto urbanistico che la circonda, la varietà degli spazi verdi pubblici sono elementi fondamentali della...
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A curarla una squadra di esperti e storici dell'arte della Soprintendenza capitolina ai Beni Culturali - Alessandro Cremona, Claudio Crescentini, Donatella Germanò, Sandro Santolini e Simonetta Tozzi - che hanno selezionato il materiale tra le collezioni e gli archivi, in particolare l'Archivio Storico Capitolino, che l'anno scorso ha ricevuto dagli eredi l'archivio personale dell'architetto.
Il Parco di Colle Oppio, il Serbatoio di Villa Borghese, Piazza Mazzini sono i suoi lavori di maggior spicco, tra l'enorme quantità di interventi che hanno riguardato gran parte della città: Parco della Rimembranza a Villa Glori, i progetti per i parchi Flaminio, Testaccio, Ostia Antica, Santa Sabina sull'Aventino, Castel Fusano, Cestio. E poi i giardini di Villa Caffarelli, Villa Fiorelli, Villa Paganini, Parco degli Scipioni, la sistemazione dei giardini di Piazza Venezia, il bel progetto per quelli di via dell'Impero (oggi via dei Fori Imperiali) eliminati in seguito per permettere gli scavi, l'ampliamento del Giardino Zoologico.
Raffaele De Vico (1881-1969) era oberato di lavoro, una mole di incarichi che lo pressò a tal punto da procurargli un esaurimento nervoso. «La sua capacità di rispondere sotto tanti profili - spiega Alessandro Cremona - lo impegnava nei cantieri per le misurazioni e i controlli tenendolo a lungo lontano dall' ufficio al punto che i responsabili gli spedirono una lettera di richiamo».
Era un professionista completo e competente: si era formato come tecnico agrario, aveva studiato all' accademia di Belle Arti diplomandosi in disegno architettonico.
Nel 1950 fondò con altri colleghi l'Associazione Italiana degli architetti del giardino e del paesaggio. «La mostra - dice Cremona - vuole descrivere il modus operandi di Raffaele De Vico. Gran parte dei suoi progetti sono andati perduti ma lui era abituato a fotografare il suoi lavori, documentati dai dipinti di Carlo Montani, a fare studi e ricerche approfondite, a disegnare bozzetti di quelli che oggi chiameremmo i rendering degli interventi, a tenere una contabilità certosina. Non aderì, se non verso la fine, al Razionalismo di Piacentini. Il suo modello era il Modernismo di inizi '900. Dai suoi progetti emergono inoltre una sensibilità e una attenzione molto particolari per l' epoca ai temi dell' ambiente e ai percorsi naturalistici». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero