Il regista cinematografico serbo Dusan Makavejev, autore di film con graffianti sberleffi alle utopie del regime socialista al tempo della Jugoslavia, che entrò in rotta di...
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Autore irriverente, con “Un affare di cuore” (1967) si è segnalato per i particolari meccanismi di straniamento del suo cinema, mescolando finzione e documentario; uno stile personale che perfezionò con “Verginità indifesa” (1968), che gli valse il premio della giuria al Festival di Berlino. Con “W.R. - I misteri dell’organismo” (1971) propose un omaggio alle teorie libertarie dello psicanalista Wilhelm Reich, realizzando il film con interviste e altro materiale girato durante un viaggio negli Stati Uniti, immaginandolo come un inno contro la repressione sessuale. Attaccato duramente anche da una parte della critica occidentale, questo film venne proibito in Jugoslavia, mentre il regista fu espulso dal partito comunista, il che gli rese impossibile lavorare in patria. Dal successivo “Sweet Movie - Dolce film” (1974), girato in Francia, Makavejev si affermò come uno dei più geniali e spregiudicati registi apolidi. I testi, nella versione italiana, furono rielaborati da Pier Paolo Pasolini e Dacia Maraini. Da allora Makavejev fu costretto a reperire i fondi all’estero, attraverso co-produzioni internazionali.
Proseguendo il suo percorso internazionale che lo portò anche ad insegnare cinema negli Usa, girò in Svezia nel 1981 “Montenegro Tango o Porci e perle” (1981), la più felice espressione della sua fede nella libertà sessuale e del suo stile, in cui si fondono finzione, reportage e testi psicanalitici: la pellicola propone una ricognizione antropologica sui modelli comportamentali della classe media borghese condotta attraverso le vicende di una casalinga svedese e del suo compagno. Diresse in Australia “The Coca Cola kid” (1985), che lanciò l’attrice Greta Scacchi, accanto a Eric Roberts, per tornare in Jugoslavia per “Manifesto” (1987), e trasferirsi di nuovo in Germania nel 1992 per girare “Il gorilla fa il bagno a mezzanotte”. Nel 1994 ha compiuto con “Hole in the Soul” una profonda riflessione sulla vita dell’apolide. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero