Il Festival dei grandi nomi, della presenza femminile robusta, delle voci nuove premia «all’unanimità» il film correano: la Palma d’oro di Cannes...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
NUOVE VOCI. E c’è una cospicua rappresentanza delle nuove forze del cinema nel palmarès espresso dalla Giuria guidata dal messicano premio Oscar Ajejandro Gonzalez Inarritu: la regista senegalese Mati Diop ha avuto il Gran Prix per Atlantique che racconta l’immigrazione in chiave simbolica, mentre il Grand Prix è andato ex aequo al potente Les Misérable dell’esordiente francese Ladj Ly, ambientato alla periferia francese, e al visionario Bacurau dei brasiliani Mendonça Filho e Dornelles. La francese Céline Sciamma, che nei pronostici dell’ultimo minuto era data in pole per la Palma d’oro, ha vinto invece per la sceneggiatura di Portrait de la jeune fille en feu, storia d’amore lesbo nel 18mo secolo, e come migliore attrice è stata premiata Emily Beecham, protagonista di Little Joe. Miglior attore è invece Antonio Banderas che in Dolor y Gloria interpreta con tutta l’intensità e il dolore possibile il regista Salvador Mallo alter ego di Pedro Almodovar: ed è proprio al maestro spagnolo, amico e complice artistico di una vita, che Antonio ha dedicato la vittoria.
FUORI I MAESTRI. Fuori i maestri, dunque: ad eccezione degli onnipresenti Jean-Pierre e Luc Dardenne che, due Palme d’oro già all’attivo, hanno vinto il premio della regia per Le jeune Ahmed sulla radicalizzazione di un giovane musulmano, sono rimasti fuori dal palmarès anche Quentin Tarantino (comunque presente alla premiazione, tanto che qualcuno si aspettava vincesse la Palma), Ken Loach, Terrence Malick, Arnaud Desplechin, Xavier Dolan, Abdellatif Kechiche oltre all’habituée di Cannes Isabelle Huppert, alla sua 26ma partecipazione al Festival. Al palestinese Elia Suleiman è andata una menzione speciale per It Must Be Heaven.
LA GIURIA. «Abbiamo discusso, ci siamo democraticamente confrontati e le nostre scelte non sono state facili», ha spiegato Inarritu per la Giuria di cui faceva parte anche Alice Rohrwacher. «E sebbene l’urgenza di raccontare i nostri tempi difficili, dominati dall’ingistizia sociale, fosse comune a molti film, il nostro non è stato un verdetto politico: abbiamo fatto delle scelte puramente cinematografiche». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero