Carlo Verdone si racconta per due ore dense, circondato da un'atmosfera di trepidante e sincera partecipazione. Nonostante la giornata romana di pioggia ininterrotta, il...
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Un'occasione rara per apprezzare dal vivo gli infiniti e coinvolgenti ricordi del regista romano. «Sono cresciuta con i suoi film - racconta emozionata Giovanna, arrivata da Lunghezza per ascoltare Verdone - Ricordo come fosse ieri i suoi divertenti sketch in televisione: ora trovarmelo qui in carne e ossa mi sembra un sogno». Piera Detassis, presidente dell'Accademia del Cinema Italiano e Premi David di Donatello lo introduce definendolo «il grande, l'immenso Carlo Verdone». Tra ricordi, battute e commenti sono tanti gli applausi che esplodono spontanei, come quando sottolinea che spetti solo al pubblico chiamarlo un bravo regista, «certo non ai critici». Alla domanda se sia giusto definirlo l'erede di Alberto Sordi risponde che «non è vero, anzi mi manda in bestia. Se invece penso ad un personaggio che mi sarebbe piaciuto interpretare direi il ruolo di Leopoldo Trieste nel Lo Sceicco Bianco di Federico Fellini. Ma poi sono stato il marito logorroico in Bianco, rosso e Verdone, mentre in Viaggi di Nozze ho caricato i tic del medico: un po' ci sono riuscito a riproporlo».
Valentina di vent'anni è in piedi, immobile da due ore, con in mano il libro in attesa di farselo firmare e ammette di aver rivisto Bianco rosso e Verdone decine di volte «eppure rido come fosse la prima». Sui nuovi tormentoni, secondo Verdone da o famo strano di Viaggi di Nozze datato 1995, oggi siamo passati a volevo condividere con te «una frase ripetuta mille volte al giorno: ormai è un abuso su tutto! Ma che voj condivide'!»; mentre al perché non abbia accettato di fare il sindaco di Roma, precisa come «nella vita si possa fare bene una cosa sola e la politica non fa per me, non ne sarei capace. Se avessi accettato avrei offuscato il mio lavoro di attore e sarei stato ricordato per quello che ha rovinato qualcosa. Meglio essere ricordato per Compagni di scuola che per qualche magagna!».
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Il Messaggero