Ipertensione resistente, è boom di casi: ecco come curarla, la tecnica innovativa

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La terapia In questi casi, un’opzione...

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La terapia

In questi casi, un’opzione innovativa e sicura per il trattamento dell’ipertensione arteriosa refrattaria alla terapia farmacologica tradizionale è la procedura di denervazione renale. Una tecnica minimamente invasiva che consiste nel disattivare in modo selettivo parte delle terminazioni nervose che decorrono lungo le pareti esterne delle arterie renali, determinando una duratura riduzione della pressione sanguigna.

Nella Regione Lazio opera oggi, con particolare successo nel trattamento dell’ipertensione resistente, l’Ospedale San Pietro Fatebenefratelli, centro ospedaliero all’avanguardia proprio nell’utilizzo della tecnica di denervazione renale. “L’intervento – spiega il professor Francesco Monti, cardiologo interventista, a capo dell’Unità Operativa Complessa Cardiologia e Cardiologia Interventistica – consiste in una procedura minimamente invasiva che interessa i gangli nervosi renali responsabili dell’iperstimolazione delle arterie renali e della conseguente pressione arteriosa elevata. Dopo la sedazione e una piccola incisione, si inserisce un catetere spiraliforme molto sottile che permette di operare sui gangli erogando energia a radiofrequenza (Rf) e termo-ablando i plessi renali disposti attorno alle arterie. La procedura consente una riduzione significativa dei valori pressori, mantenendo inalterata la funzionalità del rene e consente di diminuire la quantità di farmaci antipertensivi. Dopo l’intervento, il catetere viene rimosso senza lasciare alcun tipo di impianto”.

Sempre Siia indica che almeno un terzo dei soggetti ipertesi già in terapia va considerato resistente al trattamento e che questa popolazione di pazienti mostra un rischio tre volte più elevato di andare incontro ad eventi cardiovascolari gravi rispetto ai soggetti con ipertensione controllata. Inoltre, sono maggiori le probabilità di soffrire di diabete, nefropatia cronica ed obesità. A sua volta, la riduzione della pressione arteriosa è particolarmente importante nei pazienti in politerapia, perché migliora la prevenzione di complicanze secondarie all’ipertensione quali l’infarto del miocardio, l’ictus cerebrale e l’emorragia cerebrale.

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