Elena Di Cioccio, chi è la conduttrice che ha dichiarato di essere sieropositiva? Età, malattia, suicidio della mamma, dipendenza cocaina e vita privata

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Il monologo a Le Iene

«Sarò in trattamento per sempre. La malattia è cronicizzata. Non posso permettermi di non prendere i farmaci. Quelli di oggi sono molto migliori, quelli del 2002 erano molto diversi. Dal punto di vista personale, è stato come perdere un colore. Non ero più quella di prima. I primi mesi avevo queste foto di me al mare con un costume rosso. Guardavo quelle foto e pensavo di non essere più quella persona. I primi anni ho negato la malattia con me stessa. Il giorno in cui l'ho saputo, mi sono disintegrata in mille pezzi. Ero un po' integralista sul preservativo. Sono una rompica***. Questa roba non mi è arrivata perché me la sono andata a cercare, è arrivata per caso. Mi ricordo che era come se avessi letto la data di scadenza. Uscivamo dagli anni '90. Era morto Freddie Mercury, era morto Mureyev. Uscivano queste immagini di questi scheletri a letto che morivano tra le braccia dei propri cari. Questa sindrome era legata alla tossicodipendenza, all'omosessualità e alla promiscuità. Se lo hai preso, hai fatto qualcosa di male. Negli anni in cui lavoravo a Le Iene mi sono sdoppiata in due. Inizialmente, la malattia mi ha fatto pensare che avrei voluto fare tutto quello che sognavo di fare, tra cui fare Le Iene. Ma il fantoccio che mandavo fuori era talmente diverso dalla persona vera che il danno è diventato maggiore. Quando torni a casa c'è la persona vera che sta male. È diventata una stratificazione del disastro. Adesso ho fatto pace con quel pezzo di me. Per me era imprescindibile dirlo ai compagni che ho avuto. Non è sempre andata benissimo. Sei sempre dalla parte del perdente, perché l'altro può giudicarti. Non c'è scritto da nessuna parte che dovevo farlo, c'è il profilattico. Ma a me non è stata data la possibilità di scegliere. Non me l'ha detto quello che me l'ha trasmessa, credo che neanche lo sapesse. Ma se ho la necessità di dirti che puoi scegliere perché mi assumo il peso di essere scartata, tu non mi puoi giudicare. Solo da movimento del sopracciglio delle persone capisco il giudizio. Due anni fa ho capito che dovevo mettere insieme i pezzi. Adesso è certo: una persona sieropositivo in trattamento con antiretrovirali negativizzata da oltre sei mesi non è infettiva, neanche se ti tiro il sangue negli occhi. È il mio caso. Questo significa libertà, perché è certificata, non è un'opinione. C'è stato un momento in cui mi sentivo investita dallo stoca***smo, perché ho sofferto. Se mi chiedi se sono una sopravvissuta, sono passata attraverso psicologi, psicoterapeuti, guri, sciamani. Oggi prendo una pillola sola. Una al giorno. E non sono più infettiva».

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