«Non mi muovo più se non ho il telefono in tasca. Anche quando vado in bagno ho bisogno di sapere quanti passi faccio. Perdere il conto è una cosa...
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Eppure c’è chi ha fatto del monitoraggio quasi una ragione di vita. «Dai a un uomo un contapassi e avrai fatto di lui uno schiavo» scriveva ad esempio il 10 maggio su Twitter, più o meno scherzosamente, Nomfup, vale a dire il collettivo cinguettante dietro cui si cela Filippo Sensi, deputato del Pd ed ex portavoce di Renzi e Gentiloni. «Il controllo del corpo - racconta divertito Sensi - battiti, pulsazioni, passi è diventato un po’ una sorta di gabbia che ti costringe a fare di più».
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LE TESTIMONIANZE
Ma le testimonianze sono tante ed iniziano tutte allo stesso modo, «Ho iniziato a parcheggiare più lontano» oppure «a fare il giro largo per le commissioni». Nei giorni scorsi se n’è occupato anche il Daily Mail raccogliendo la versione di diversi “tracker addicted”. «Divento ansiosa se non faccio abbastanza - confessa Pauline Craven-Lee sottolineando come percorra ogni giorno 30mila passi - Ho spesso sentito il bisogno di raggiungere la mia quota di passi prima di fare qualsiasi altra cosa». Il tutto senza necessariamente perdere peso, anzi, la donna sostiene di aver guadagnato qualche chilo. «Perdere peso non è ciò che mi motiva - ha detto - È una sfida personale». Dietro al bisogno continuo di monitorare l’attività infatti, al di là del sentirsi davvero più attivi, c’è un meccanismo psicologico innescato dai dispositivi hi-tech che tengono il conto di qualsiasi tipo di parametro. Braccialetti, fasce e orologi che senza sosta appuntano dati su sonno, respirazione, saturazione del sangue, livelli di stress, calorie bruciate e soprattutto distanza percorsa. Così a 2mila passi si ottiene una medaglia, a 5mila un’altra con i complimenti per le energie a disposizione, a 10mila una piccola coppa che certifica come la giornata non è andata sprecata. Questo può innestare un circolo vizioso acuito dalla possibilità di pubblicare il tutto sui social. Un meccanismo contorto che però può culminare con la comparsa di senso di colpa quando non ci si può allenare, addirittura sviluppando sintomi di astinenza.I DANNI
«Abbandonarsi a un’attività eccessiva può portare a effetti negativi ricorrenti - spiega la neuropsicologa Virgilia Crescenzi - aumentando l’incapacità di gestire contesti di vita diversi e la suscettibilità a lesioni muscolo-scheletriche; oltre ad incrementare il rischio di problemi come ipoglicemia, dolore toracico o aritmia». D’altronde come ha spiegato per prima Kathrine Schreiber, ingegnere biomedico statunitense, «concentrarsi sui numeri ti separa dall’essere in sintonia con il corpo e quindi l’esercizio fisico diventa insensato». Leggi l'articolo completo suIl Messaggero