Nei confronti di bambini piccoli malati terminali bisogna evitare trattamenti «inefficaci e sproporzionati» che possono portare «ulteriori sofferenze e un...
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«L'idea di un parere in materia», spiega all'ANSA il presidente Lorenzo d'Avack, «era nata in occasione del caso di Alfie Evans», il bambino inglese affetto da una gravissima malattia rara e che i genitori avrebbero voluto trasferire da Liverpool a Roma. Il suo caso, ricorda il giurista, «fece molto discutere se in situazioni simili, la decisione di interrompere i trattamenti debba esser presa dai genitori o dai medici». Oggi, prosegue, «grazie a tecnologie sofisticate, è possibile mantenere in vita pazienti che fino a qualche anno fa sarebbero deceduti. Tutto ciò rischia però di portare a un aumento di trattamenti inutili e dolorosi, che si configurano come accanimento clinico». Un comportamento che, per quanto riguarda i bambini piccoli, si legge sul parere, è «spesso praticato perché quasi istintivamente, anche su richiesta dei genitori, si è portati a non lasciare nulla di intentato».
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Altre volte, invece, «viene praticato come difesa» da possibili accuse di interruzione attiva dei trattamenti. Di qui la decisione di elaborare il documento, in cui si raccomanda, soprattutto, evitare che il bambino «sia considerato un mero oggetto di sperimentazione». Per aiutare ad orientarsi in decisioni così complesse, il Cnb raccomanda di istituire per legge i comitati etici negli ospedali pediatrici e «integrare nei processi decisionali anche i genitori e persone di loro fiducia». Ai giudici bisognerebbe ricorrere solo come extrema ratio. E, in qualsiasi caso, «il divieto di ostinazione irragionevole dei trattamenti» non deve tradursi «nell'abbandono del bambino» che ha invece a diritto a «cure palliative in modo omogeneo sul territorio». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero