Le coppie italiane sono tornate in massa nei centri in cui si effettua la fecondazione assistita: lo dimostra un aumento delle richieste di avviare cicli riproduttivi rispetto a...
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Il temporaneo stop alla Pma durante la pandemia è arrivato in un periodo dell'anno, la primavera, in cui la domanda era più alta. Tanto che i cicli riproduttivi non effettuati nei mesi di marzo, aprile e maggio hanno portato, secondo la Siru, a circa a 30.000-35.000 trattamenti saltati e 4.500 nascite in meno. Il boom di richieste di cure per l'infertilità che ora si registra non è rappresentato però solo da tutte le coppie che avrebbero voluto, e non hanno potuto, intraprendere il percorso di genitorialità nei mesi del lockdown. A pesare, infatti, sono almeno altri due fattori. «Da un lato, la paura di nuove chiusure per eventuali seconde ondate di contagi spinge a voler approfittare del momento attuale.
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Dall'altro, è indubbio che la pandemia ha suscitato in molte persone una maggior desiderio di famiglia», chiarisce Guglielmino. Un aspetto indicativo in questo senso è la richiesta di trattamenti anche ad agosto, «periodo in cui normalmente si sospendono i cicli, mentre quest'anno la maggior parte dei centri resterà aperto». Una necessità dettata anche dall'esigenza di smaltire gli arretrati che sono stati accumulati in oltre tre mesi di chiusura. Altra novità della fecondazione assistita in Fase 3 riguarda i progressi fatti verso la digitalizzazione, che si sono conservati anche nel post lockdown.
Durante l'emergenza Covid-19 è stato necessario spostare in modalità telematica il lavoro preparatorio al trattamento vero e proprio, in pratica tutto quello che non siano analisi del sangue, prelievi ovocitari, ecografie, trasferimenti di embrioni o ovociti. «Anche ora che i centri hanno riaperto, almeno il 40% delle coppie continua a preferire lo svolgimento degli incontri per la consulenza psicologica e genetica, oltre a quelli per la discussione del consenso informato, attraverso videoconferenze. Questo aiuta a mantenere le strutture meno affollate». Resta tuttavia, un 60% di coppie, soprattutto quelle più impaurite, che continua a preferire i colloqui di persona, con tutte le misure di sicurezza del caso, a cui le strutture ormai si sono adeguate. Ovvero il rispetto dello scaglionamento degli appuntamenti per garantire il distanziamento sociale, l'igienizzazione dopo ogni visita e l'utilizzo di adeguate protezioni personali. A questo si aggiungono protocolli per evitare il contagio durante i trattamenti, oggetto di corsi di formazione a distanza organizzati dalla Siru e rivolti ai medici e agli operatori coinvolti nei percorsi di riproduzione assistita. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero