OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
oppure
1€ al mese per 6 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Mai così pochi casi di influenza in Italia. Distanziamento sociale, mascherine e lockdown imposti dalla pandemia hanno spazzato via il temibile virus che ogni anno colpisce milioni di persone. E se è vero che, come sottolinea il direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito, «la percentuale di decessi per Covid è tre volte più alta dell’influenza, abbiamo il doppio dei ricoveri in terapia intensiva e mentre l’influenza può essere gestita a casa, per il Covid abbiamo avuto bisogno di ospedalizzazione che nelle forme benigne è stata il doppio dell’influenza», si tratta comunque di una patologia pericolosa.
Zona rossa, arancione o gialla: dal 7 gennaio le regioni tornano ai colori in base al report Iss
Lo scenario è cambiato
Secondo il database di Istat sulle cause iniziali di morte, cioè le malattie che hanno condotto al decesso, nel 2017 i morti per influenza sono stati 663, il doppio dei 316 registrati nell’anno precedente. Nel 2015 i decessi sono stati 675 e 272 nel 2014. Tra il 2007 e il 2013 i morti per influenza sono stati rispettivamente: 411, 456, 615, 267, 510, 458 e 417. Tra il 2007 e il 2017 l’influenza è stata la causa iniziale di morte per 5.060 pazienti, una media di 460 ogni anno. Ora lo scenario è completamente diverso: dall’inizio della stagione nessun virus influenzale è stato segnalato in Italia, nella settimana dal 21 al 27 dicembre l’incidenza delle sindromi simil-influenzali rimane sotto la soglia basale con 1,5 casi per mille assistiti e circa 92 mila casi stimati, per un totale di circa 1.265.000 casi dall’inizio della sorveglianza. Nel 2019, in questa stessa settimana dell’anno, il livello di incidenza era pari a 3,9 casi per mille assistiti, come segnala l’ultimo bollettino Influnet pubblicato dall’Istituto superiore di sanità. Nel Lazio oggi «l’influenza è praticamente assente, l’incidenza è più bassa della media nazionale. Se continua con questo trend sarà il minimo storico», annunciava il 28 dicembre l’assessore alla Sanità e Integrazione sociosanitaria della Regione Lazio Alessio D’Amato.
Sorveglianza
In tutte le regioni italiane che hanno attivato la sorveglianza il livello di incidenza delle sindromi simil-influenzali è sotto la soglia basale, tranne la Valle d’Aosta.
L’uso degli antibiotici
Le regole di distanziamento sociale e sull’uso dei dispositivi di protezione individuale sono efficaci anche per debellare l’influenza e, consigliano i medici, anche quando saremo vaccinati contro il Covid è buona pratica indossare la mascherina in caso di raffreddore. Nonostante un generale miglioramento rispetto all’anno precedente, tuttavia, le prescrizioni non appropriate di antibiotici superano ancora il 25% in quasi tutte le condizioni cliniche, come influenza, raffreddore, faringite e tonsillite, e il fenomeno è maggiore nelle regioni del Sud. È quanto rileva l’analisi delle prescrizioni effettuate dai medici di medicina generale, contenuta nel rapporto nazionale Osmed 2019 sull’uso degli antibiotici in Italia, presentato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). A livello non ospedaliero, il consumo di antibiotici varia in modo significativo dalla stagione invernale a quella estiva: si passa da un consumo di 10,1 per mille abitanti di agosto a un massimo di 22,4 nel mese di gennaio e proprio l’aumento significativo in coincidenza dell’epidemia di influenza, che in quanto di origine virale non richiede in genere l’uso di antibiotici, è una delle spie dell’inappropriatezza. «I dati confermano - scrive l’Aifa - che, al di là della possibile incidenza di malattie infettive, esistono altri fattori che causano un uso non sempre appropriato». È generalmente inadeguato, ad esempio, l’uso di qualunque antibiotico a seguito di una diagnosi di influenza, raffreddore comune o laringotracheite acuta.
Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero