Influenza, i medici: «Mascherine anche contro il raffreddore». Giù i casi in tutta Italia

Covid, i medici: «Mascherine anche contro il raffreddore». Giù i casi di influenza in Italia
di Claudia Guasco
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Sabato 2 Gennaio 2021, 11:20 - Ultimo aggiornamento: 16:54

Mai così pochi casi di influenza in Italia. Distanziamento sociale, mascherine e lockdown imposti dalla pandemia hanno spazzato via il temibile virus che ogni anno colpisce milioni di persone. E se è vero che, come sottolinea il direttore scientifico dello Spallanzani Giuseppe Ippolito, «la percentuale di decessi per Covid è tre volte più alta dell’influenza, abbiamo il doppio dei ricoveri in terapia intensiva e mentre l’influenza può essere gestita a casa, per il Covid abbiamo avuto bisogno di ospedalizzazione che nelle forme benigne è stata il doppio dell’influenza», si tratta comunque di una patologia pericolosa.

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Lo scenario è cambiato

Secondo il database di Istat sulle cause iniziali di morte, cioè le malattie che hanno condotto al decesso, nel 2017 i morti per influenza sono stati 663, il doppio dei 316 registrati nell’anno precedente.

Nel 2015 i decessi sono stati 675 e 272 nel 2014. Tra il 2007 e il 2013 i morti per influenza sono stati rispettivamente: 411, 456, 615, 267, 510, 458 e 417. Tra il 2007 e il 2017 l’influenza è stata la causa iniziale di morte per 5.060 pazienti, una media di 460 ogni anno. Ora lo scenario è completamente diverso: dall’inizio della stagione nessun virus influenzale è stato segnalato in Italia, nella settimana dal 21 al 27 dicembre l’incidenza delle sindromi simil-influenzali rimane sotto la soglia basale con 1,5 casi per mille assistiti e circa 92 mila casi stimati, per un totale di circa 1.265.000 casi dall’inizio della sorveglianza. Nel 2019, in questa stessa settimana dell’anno, il livello di incidenza era pari a 3,9 casi per mille assistiti, come segnala l’ultimo bollettino Influnet pubblicato dall’Istituto superiore di sanità. Nel Lazio oggi «l’influenza è praticamente assente, l’incidenza è più bassa della media nazionale. Se continua con questo trend sarà il minimo storico», annunciava il 28 dicembre l’assessore alla Sanità e Integrazione sociosanitaria della Regione Lazio Alessio D’Amato.

Sorveglianza

 

In tutte le regioni italiane che hanno attivato la sorveglianza il livello di incidenza delle sindromi simil-influenzali è sotto la soglia basale, tranne la Valle d’Aosta. I numeri si ricavano dal rapporto di sorveglianza epidemiologica delle sindromi influenzali elaborato dal dottor Antonino Bella, del dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto superiore di sanità, responsabile della Sorveglianza epidemiologica InfluNet. Nella settimana dal 21 al 27 dicembre, 663 medici sentinella hanno inviato dati circa la frequenza di sindromi simil-influenzali tra i propri assistiti. Il valore dell’incidenza totale è pari a 1,53 casi per mille assistiti. Nella fascia di età 0-4 anni l’incidenza è pari a 3,03 casi per mille assistiti, tra 5 e 14 anni a 1,12, tra 15 e 64 anni a 1,46 e tra le persone di età pari o superiore a 65 anni a 1,25 casi per mille assistiti. Uno scenario parziale, considerato che a causa dell’emergenza Covid le province autonome di Bolzano e Trento, Sardegna, Campania, Basilicata e Calabria non hanno ancora attivato la sorveglianza influenzale. Ma comunque significativo nell’evidenziare una netta riduzione dei casi. Nella cinquantaduesima settimana dell’anno, scrive l’Iss, in Italia sono stati analizzati 90 campioni clinici ricevuti dai diversi laboratori afferenti alla rete InfluNet e, su un totale di 1.057 campioni analizzati dall’inizio della sorveglianza, nessuno è risultato positivo al virus influenzale, mentre 11 sono risultati positivi al SarsCoV2 (157 dall’inizio della sorveglianza). Anche globalmente, sia in Europa che negli Stati Uniti, nonostante il continuo ed esteso monitoraggio, la circolazione dei virus influenzali si mantiene a livelli molto inferiori rispetto alla media stagionale, con poche sporadiche identificazioni dei virus di tipo A e B in alcuni Paesi.

L’uso degli antibiotici

 

Le regole di distanziamento sociale e sull’uso dei dispositivi di protezione individuale sono efficaci anche per debellare l’influenza e, consigliano i medici, anche quando saremo vaccinati contro il Covid è buona pratica indossare la mascherina in caso di raffreddore. Nonostante un generale miglioramento rispetto all’anno precedente, tuttavia, le prescrizioni non appropriate di antibiotici superano ancora il 25% in quasi tutte le condizioni cliniche, come influenza, raffreddore, faringite e tonsillite, e il fenomeno è maggiore nelle regioni del Sud. È quanto rileva l’analisi delle prescrizioni effettuate dai medici di medicina generale, contenuta nel rapporto nazionale Osmed 2019 sull’uso degli antibiotici in Italia, presentato dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). A livello non ospedaliero, il consumo di antibiotici varia in modo significativo dalla stagione invernale a quella estiva: si passa da un consumo di 10,1 per mille abitanti di agosto a un massimo di 22,4 nel mese di gennaio e proprio l’aumento significativo in coincidenza dell’epidemia di influenza, che in quanto di origine virale non richiede in genere l’uso di antibiotici, è una delle spie dell’inappropriatezza. «I dati confermano - scrive l’Aifa - che, al di là della possibile incidenza di malattie infettive, esistono altri fattori che causano un uso non sempre appropriato». È generalmente inadeguato, ad esempio, l’uso di qualunque antibiotico a seguito di una diagnosi di influenza, raffreddore comune o laringotracheite acuta.

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