Covid, Menichetti: «I vaccinati si infettano? Sì, ma trasmettono meno e con una carica inferiore»

L'infettivologo dell'università di Pisa: «Chi è protetto sviluppa un virus meno aggressivo e la sua contagiosità ha una durata minore»

Covid, Menichetti: «I vaccinati si infettano? Sì, ma trasmettono meno e con una carica inferiore»
Osservando la curva dell'epidemia, ma prima ancora stando fra le corsie di un ospedale, Francesco Menichetti, ordinario di malattie infettive dell'Università di...

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Osservando la curva dell'epidemia, ma prima ancora stando fra le corsie di un ospedale, Francesco Menichetti, ordinario di malattie infettive dell'Università di Pisa e direttore di Malattie infettive dell'Azienda ospedaliera pisana, lo spiega con fermezza: «Non c'è dubbio, i vantaggi dei vaccinati rispetto ai non protetti sono estesi e prevalenti».

Partiamo allora dai vantaggi.
«Il vaccino ha una efficacia molto elevata che supera ampiamente il 90 per cento nel prevenire la malattia, l'ospedalizzazione, la terapia intensiva e la letalità del covid. Mentre ha un'efficacia che si aggira intorno al 70 per cento per quel che riguarda la prevenzione dell'infezione. Questo significa che chi è vaccinato a ciclo completo, anche con un vaccino a rna messaggero tipo Pfizer o Moderna, può in teoria infettarsi».

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E arriviamo quindi al punto dolente.
«Sì, ma la probabilità che si infetti un vaccinato è di gran lunga inferiore a quella di un non vaccinato. Dopodiché, i vantaggi del vaccinato che comunque contrae l'infezione sono legati al fatto che generalmente non sviluppa un Covid grave, che richiede ospedalizzazione, e se è necessario il ricovero solitamente il decorso è favorevole. Sono molto rari i casi di covid grave, complicato e di decesso a causa del Covid in chi si infetta avendo ricevuto un ciclo vaccinale».

Da cosa dipende?
«Intanto, bisogna considerare che la protezione che offre questo tipo di vaccino, che noi stiamo utilizzando, nei confronti della variante Delta non è completa e assoluta. E quando purtroppo si verifica una infezione in chi ha ricevuto un ciclo vaccinale completo e ha un'età molto avanzata o concomitanti condizioni di fragilità - di solito over 70, over 80, una cardiopatia, una malattia polmonare cronica, una situazione di immunodeficienza, un tumore - questo profilo di rischio espone anche il vaccinato, in casi molto poco frequenti, a un Covid che può essere grave o complicato».

Ma anche i vaccinati che si infettano possono contagiare?
«In linea di massima, sì. In generale, però, la contagiosità dell'infetto vaccinato è mediamente inferiore rispetto a quella dell'infetto non vaccinato».

Come mai?
«In linea teorica non si può sostenere che un vaccinato che ha un tampone molecolare positivo ad alta carica non sia infettante. Mediamente però, la carica virale e la durata della contagiosità dell'infetto vaccinato è inferiore rispetto alla carica virale e alla durata dell'infettività del soggetto non vaccinato».

Qual è il motivo?
«È chiaro che dipende dalla capacità del soggetto di avere sviluppato anticorpi neutralizzanti che, se non in modo assoluto, in modo parziale difendono dall'infezione, la contengono, la rendono meno invasiva. Ecco perché noi raccomandiamo comunque sempre a tutti di mantenere le misure di precauzione».

I vaccinati che si infettano quindi sono per lo più asintomatici e nascosti...


«Spesso noi li incontriamo in ospedale e documentiamo un tampone positivo nei vaccinati per un fatto accidentale. Sono cioè soggetti che hanno avuto accesso all'ospedale per altre patologie, o per altri motivi, vengono sottoposti al tampone di sorveglianza da vaccinati e risultano positivi, quindi vengono messi in isolamento. Ma non hanno la polmonite, hanno solo l'infezione, non hanno la malattia. I vantaggi, ripeto, sono estesi e prevalenti. Non dimentichiamo che i vaccinati sono quelli che ci permettono di vivere oggi in Italia sostanzialmente in una situazione di libertà». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero