I tamponi, il coronavirus, come spiegarlo a Francesco, che da 17 anni vive in un mondo parallelo, chiuso tra le sue abitudini e i ritmi sempre uguali. È un ragazzone alto,...
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Federica Placchetta è uno scricciolo di donna, ma è piena di forza ed energia. Ha due figli e lavora nell’ospedale di Teramo, con un contratto a tempo, e deve fare fronte da sola a quanto sta accadendo. Da qualche giorno anche lei e l’altro figlio di vent’anni, hanno tosse e febbre. Chiusi in casa a Pineto, in Abruzzo, hanno chiesto un tampone di controllo, che tarda ad arrivare. Non sembrano, però, avere dubbi sul fatto che il virus abbia colpito anche loro. Un dramma nel dramma, con l’isolamento da rispettare, gli spazi comunque piccoli per due ragazzi con vite ed esigenze totalmente diverse. E se uno scalpita perché chiuso in casa dalle regole imposte dal governo, l’altro non riesce certamente a capire la ragione per cui non possa più circolare liberamente.
Francesco era abituato a camminare per almeno due ore con l’amico-assistente che lo veniva a prendere e lo portava verso il mare. Con mamma Federica vuole andare solo in macchina, ma ora proprio non si può.
Prima di sapere che fosse positivo al coronavirus, Federica lo portava fuori a camminare un po’, ma poteva stare solo sotto casa per un giro breve e diverso da quello abituale. «Cambiare percorso - spiega - è un trauma. E quindi ho dovuto smettere. Ora, poi, la situazione è anche cambiata. Non possiamo proprio uscire, ma devo sempre essere pronta a intervenire, perché basta un momento in cui si annoia, o non riesce a vedere il cartone che preferisce, e allora comincia anche a farsi del male, sbatte la testa contro i mobili, contro i vetri. In queste settimane ha già sfondato quattro letti». La mamma lo accompagna in bagno, non si lava le mani da solo. «È come un bambino - dice - ma pesa 100 chili e ha la forza di un uomo». Non c’è nessuno, poi, a darle una mano: nell’istituto dove il ragazzo era ricoverato, sono risultati positivi altri cinque minirenni. Tornare lì è fuori questione. E Federica deve anche lavorare. «Lo faccio in piedi - cede a un sorriso - così sono sempre pronta a intervenire. E faccio sessioni brevi, di mezz’ora ciascuna. Di più non riesco, perché Francesco ha esigenze continue, è irrequieto e non esprime quello che vuole: può essere il cibo, un film, un gioco». Ma per lei il lavoro è anche una valvola di sfogo. «Io dico che è la mia terapia psicologica - scherza - Mi tiene la mente sana. Lo stipendio, di cui ho pure bisogno, viene dopo».
A casa Placchetta non può entrare nessuno, tranne a volte qualche amico che porta la spesa, o consegna un dolce a distanza di sicurezza. Senza contare le medicine, altra parentesi grigia: Francesco segue un piano terapeutico. «Non sono farmaci che trovo in farmacia, hanno un percorso diverso». E poi c’è da pensare anche all’altro figlio, Carlo, venti anni, e un’insofferenza a questi ritmi che aumenta giorno dopo giorno. «Che invidia per chi sta soltanto in isolamento - conclude mamma Fede - Ho sempre reagito con grande energia, ma ora sono un po’ sconfortata. Spero che vengano presto a fare il tampone a me e all’altro figlio, altrimenti da questa quarantena non so come e quando riusciremo a uscire». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero