Una sola parola: «Vergogna». Questo pensano, questo è il giudizio, lo stato d’animo, la sentenza dei commercianti di piazza della Repubblica dopo sei,...
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Meno venti, trenta, quaranta per cento il volume degli affari. Bicchierata con brindisi amaro e torta al fiele dei commercianti alla ricorrenza dei centottanta giorni di sbarramento causa lavori fantasma. Qualcuno alza le mani, è la resa: «Dobbiamo chiudere, siamo falliti». Turisti increduli, smarriti, furibondi, costretti a trascinare le valigie: la scarpinata non l’avevano proprio messa in conto e del resto la navetta per il centro, dove restano sbarrati anche gli ingressi di piazza Barberini e di piazza di Spagna, passa a singhiozzo, ogni tanto, quando le va.
I flussi delle feste pasquali, con la coda della ricorrenza di oggi e poi del Primo Maggio proporranno ai romani un bilancio disastroso che, appunto, si riassume in una parola: «Vergogna»: sì, perché non riusciamo, a escogitare un argomento capace di coprire, giustificare, rendere accettabile un vuoto tanto profondo. In sei mesi, a Dubai, mettono in piedi un grattacielo di cento piani, nella Capitale neanche una scala mobile che c’è già. In un anno, a Genova, si ricostruirà il ponte Morandi. A Roma le rampe d’acciaio del centro restano accartocciate. Scale immobili, appunto. Istantanee delle vergogna, da mettere in memoria: Signora sindaco, niente da dire?
paolo@graldi.it Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero