Chissà se in quell'impeto guerresco («Faremo grandi cose nel 2017») declamato da Virginia Raggi nel salutare il nuovo anno e archiviando un disastroso 2016...
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Ora si cerca la soluzione, dopo tanti tentativi falliti, ricorrendo a ditte esterne chiamate a un bando per il controllo dei titoli di viaggio e per incassare le multe inflitte ai trasgressori. Per adesso non le paga quasi nessuno (meno del 10%) anche se sarebbe davvero facile chiudere il conticino alle poste, via banca, con il Pos. Il fatto è che non si riesce a far digerire il concetto elementare che una corsa in bus o metro è un servizio e in quanto tale va pagato. Come al bar per un caffè. Quasi ovunque, almeno, è così. In più: chi è in regola, cornuto e mazziato, subisce i danni del disservizio per colpa d'altri. Controllori viaggianti e appostati alle fermate riusciranno a compiere la missione impossibile?
Lo scenario e l'esperienza inducono ad un cupo pessimismo e tuttavia la scommessa va fatta perché, oltre al danno economico, va sanata la piaga che ci appare come un paradigma del rifiuto ad essere e vivere la comunità condividendone diritti e doveri. Quando sarà normale viaggiare e pagare il biglietto la Capitale comincerà ad essere vivibile e alla fine tutti scopriranno che il pugno duro era la medicina giusta.
paolo@graldi.it Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero