Il pugno duro medicina giusta per far pagare chi sale sul bus

Il pugno duro medicina giusta per far pagare chi sale sul bus
Chissà se in quell'impeto guerresco («Faremo grandi cose nel 2017») declamato da Virginia Raggi nel salutare il nuovo anno e archiviando un disastroso 2016...

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Chissà se in quell'impeto guerresco («Faremo grandi cose nel 2017») declamato da Virginia Raggi nel salutare il nuovo anno e archiviando un disastroso 2016 era compresa la lotta agli abusivi sui mezzi pubblici. C'è da sperarlo perché il malvezzo dei portoghesi va chirurgicamente estirpato: dal 25 al 60% dei viaggiatori, a seconda delle linee e degli orari, considera facoltativo pagare il biglietto e dunque conveniente evitare la seccatura di acquistarlo. Figlia di un buonismo che ha lontane e profonde radici la questione finisce con l'incidere pesantemente sulla qualità del servizio, pessimo a giudizio di tutti.


Ora si cerca la soluzione, dopo tanti tentativi falliti, ricorrendo a ditte esterne chiamate a un bando per il controllo dei titoli di viaggio e per incassare le multe inflitte ai trasgressori. Per adesso non le paga quasi nessuno (meno del 10%) anche se sarebbe davvero facile chiudere il conticino alle poste, via banca, con il Pos. Il fatto è che non si riesce a far digerire il concetto elementare che una corsa in bus o metro è un servizio e in quanto tale va pagato. Come al bar per un caffè. Quasi ovunque, almeno, è così. In più: chi è in regola, cornuto e mazziato, subisce i danni del disservizio per colpa d'altri. Controllori viaggianti e appostati alle fermate riusciranno a compiere la missione impossibile?

Lo scenario e l'esperienza inducono ad un cupo pessimismo e tuttavia la scommessa va fatta perché, oltre al danno economico, va sanata la piaga che ci appare come un paradigma del rifiuto ad essere e vivere la comunità condividendone diritti e doveri. Quando sarà normale viaggiare e pagare il biglietto la Capitale comincerà ad essere vivibile e alla fine tutti scopriranno che il pugno duro era la medicina giusta.

paolo@graldi.it Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero