Roma, l'ultimo tesoro dell'Appia: le fontane che davano vino

E se le fontane che danno vino di folkloristica memoria, tra stornelli e tradizione dei Castelli Romani, avessero la loro fonte d'ispirazione nella Villa dei Quintili?...

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E se le fontane che danno vino di folkloristica memoria, tra stornelli e tradizione dei Castelli Romani, avessero la loro fonte d'ispirazione nella Villa dei Quintili? L'ipotesi degli archeologi è più che mai viva in queste ore perché nella villa gioiello del parco archeologico dell'Appia Antica guidato da Rita Paris stanno riaffiorando proprio fontane che danno vino. Siamo di fronte ad un impianto di produzione del nettare degli dei databile all'inizio del III secolo d.C. che per la sua monumentalità architettonica e il sofisticato sistema idraulico, viene considerato dagli studiosi «un unicum nel panorama delle ville imperiali».

 

«Si componeva di due strutture, una per la produzione e l'altra di rappresentanza - annuncia la Paris - in sostanza si produceva e si consumava vino a presa diretta, dalla pigiatura dell'uva, al torchio, ai giochi di vino che animavano un ninfeo, alla decantazione e fermentazione, fino all'imbottigliamento e alla degustazione per il piacere dell'imperatore e dei suoi ospiti».
 
L'ultima sorpresa della Villa dei Quintili. Qui, gli archeologi Riccardo Frontoni e Giuliana Galli stanno portando avanti una campagna di scavo in porzioni mai indagate prima. E il terreno si sta rivelando assai generoso, svelando nuove fasi di vita della residenza. Fino ad oggi la storia era nota: i fratelli consoli Quintili ebbero l'ardire di realizzare una villa talmente bella da attirare le mire del figlio di Marco Aurelio, il sanguinario Commodo che, manco a dirlo, li fece uccidere. «Commodo ne fece una residenza dei piaceri, tra anfiteatro, teatro, circo, distrutti alla sua morte dopo la condanna alla damnatio memoriae», spiega Giulina Galli. Sono state le indagini sull'area del circo a svelare l'impianto del vino edificato nell'epoca di Gordiano (220-238) come testimoniano i bolli sulle tubature: 800 metri quadri di ambienti: «Il sistema era incredibilmente sofisticato - avverte Riccardo Frontoni - Si parte dalla pigiatura dell'uva in una grande vasca dove si produceva il primo mosto». Il vigneto imperiale sorgeva sull'area del circo.
Dopo sette giorni affioravano le vinacce che passavano ai torchi in due stanze gemelle.

«Fatta la spremitura, il cosiddetto tannino confluiva attraverso canalette in vasche di decantazione per poi uscire sgorgando dalle fontane», dice Frontoni. Il bello è che il vino poteva essere miscelato con l'acqua attraverso tubi di piombo dotati di rubinetti. Ecco, allora, il ninfeo del vino: restano visibili oggi le cinque nicchie delle fontane: tre centrali per il vino, due laterali per l'acqua. «Dai frammenti architettonici rinvenuti immaginiamo che dovesse essere uno spettacolo scenografico, con statue di puttini da cui usciva il vino delle fontane», dice Galli che sta studiando le incisioni rinvenute, compreso quel Primigeni «che rimanda a Primigenius, il produttore dei grandi dolia ancora intatti incassati nella cella vinaria», spiega Galli. Il viaggio del vino infatti continua: dalle fontane confluiva attraverso canali in marmo nei dolia per la decantazione.


Da qui veniva imbottigliato nelle anfore vinarie. Il coup de théâtre è l'enoteca, la sala da degustazione, in collegamento con la cantina imperiale. Un trionfo di marmi. «Questa sala delle fontane che danno vino doveva essere una tale suggestione da essere tramandata oralmente nel tempo ispirando l'immaginario popolare, fino al folklore degli stornelli di Marino», riflette Frontoni. «L'Appia Antica non smette di regalare meraviglie - commenta Rita Paris - Dobbiamo continuare su questa strada, e recuperare pezzi di patrimonio per offrirli al godimento pubblico. Questi scavi li abbiamo avviati con fondi pregressi, ora ci auguriamo di avere nuovi finanziamenti per aiutare l'Appia». Un brindisi alla salute, allora.
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Il Messaggero