Roma, uccise la moglie nel bar: condannato a 30 anni l'omicida di Lunghezza

Roma, uccise la moglie nel bar: condannato a 30 anni l'omicida di Lunghezza
Il pentimento a poche ore dal verdetto non ha scalfito la decisione del giudice. E' stato condannato a trent'anni di carcere, il massimo della pena, Augusto Nuccetelli, il...

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Il pentimento a poche ore dal verdetto non ha scalfito la decisione del giudice. E' stato condannato a trent'anni di carcere, il massimo della pena, Augusto Nuccetelli, il bullo di Corcolle, violento in casa e arrogante per strada, che lo scorso aprile aveva scaricato la pistola contro la moglie, Assunta Finizio, incrociata al bar di Lunghezza, uccidendola senza fiatare mentre la gente faceva colazione. Quattro colpi con una 44 Magnum. Nuccetelli ha evitato l'ergastolo, chiesto dal pm Luigi Fede, solo grazie alla scelta del rito, il giudizio abbreviato. «Sono pentito», aveva detto in aula, «ma non avevo capito di averla ammazzata la mia Assunta. Ero totalmente ubriaco. Non ho ricordi di quella mattina». Il figlio, ora diciottenne, che si è costituto parte civile contro il padre assistito dall'avvocato Pierfrancesco Bruno, è stato il primo a non credergli. Non gli ha mai perdonato le sevizie a cui aveva sottoposto per anni lui e la madre. Non potrà mai perdonargli di averle portato via per sempre mamma Assunta, la sua àncora nella vita.


IL DESIDERIO DI VENDETTA

Quello di Lunghezza è stato un femminicidio crudele, frutto di un desiderio di vendetta covato per giorni. Assunta, 50 anni, uno in meno del marito, da un mese aveva sbattuto fuori casa Augusto, sempre attaccato alla bottiglia, svogliato sul lavoro, attaccabrighe, razzista e provocatore con gli immigrati. Lei sempre in grembiule, che si svegliava all'alba per andare a vender panini con un furgone sulla Prenestina e costretta a far studiare il figlio di nascosto del padre, aveva detto basta. Troppe botte, troppe volte aveva abbassato la testa. «Sua moglie e suo figlio non hanno mai fatto una vita normale», raccontavano parenti e vicini il giorno del delitto. Li maltrattava. Il ragazzino era costretto ad alzarsi alle 5 per badare all'officina al posto del padre, mentre di nascosto cercava di frequentare la scuola. «Deve provare le stesse pene, lo stesso dolore che ha provato mia madre», aveva detto il ragazzo a poche ore del delitto. «Se aveva un problema lui si sfogava su di noi, mamma sopportava per me, diceva che ero piccolo. Era sempre ubriaco. Correva dietro le donne, stava da tempo con una ragazza albanese, le liti erano aumentate». I periti hanno certificato lo stato di ubriachezza abituale dell'imputato. E' stata considerata un'aggravante. L'anno prima dell'omicidio della moglie aveva mostrato i suoi tatuaggi alle telecamere e rilasciato una intervista in tv. Con un fascio littorio, una croce celtica e un ritratto di Hitler in bella vistasi sfogava contro gli immigrati: «Sono stati picchiati perché sono pezzi di m Se una persona così va a rompere le scatole a una ragazza io lo ammazzo». «Mi faccio giustizia da solo? Dimmi chi fa la giustizia qua in Italia». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero