Roma, uccise la compagna: collegio di periti stabilirà se il direttore di banca era capace di intendere

La vittima Michela Di Pompeo
Sarà una perizia psichiatrica collegiale a verificare la capacità d'intendere e volere di Francesco Carrieri, il direttore di banca romano che il primo maggio...

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Sarà una perizia psichiatrica collegiale a verificare la capacità d'intendere e volere di Francesco Carrieri, il direttore di banca romano che il primo maggio 2017 uccise la compagna Michela Di Pompeo, insegnante della prestigiosa Deutsche Schule, nella sua abitazione di via del Babuino, nel centro storico di Roma. L'ha deciso la prima Corte d'assise d'appello, presieduta da Andrea Calabria con Giancarlo De Cataldo, davanti alla quale Carrieri si è presentato con una condanna a 30 anni di reclusione per omicidio volontario aggravato disposta dal gup nell'ottobre scorso a conclusione del processo che si svolse col rito abbreviato.


La settimana prossima saranno incaricati dell'accertamento gli psichiatri Gabriele Sani e Massimo Di Genio. Secondo quanto si è appreso (il processo si svolge a porte chiuse) i due psichiatri si dovranno confrontare con gli accertamenti tecnici disposti ed effettuati in sede d'indagine e nel corso del rito abbreviato. In sostanza, due consulenti tecnici (i professori Stefano Ferracuti e Maurizio Marasco) hanno concluso per la parziale infermità di mente, mentre il perito nominato dal gup (Gianluca Somma) per la totale capacità. Il fatto che i tecnici hanno valutato l'imputato cronologicamente in tempi diversi - i primi al momento dei fatti, l'altro dopo un anno - ha portato i giudici d'appello a disporre la perizia collegiale.


Era il primo maggio 2017 quando l'imputato colpì la compagna con un peso da palestra uccidendola sul colpo. Fu lo stesso Carrieri, dopo l'arresto, ad ammettere la sua responsabilità. «Quella sera eravamo rientrati da un week end fuori - disse - Presi il suo telefono per vedere i messaggi, era la prima volta che le controllavo il telefono forse era successo una volta, lo avevo fatto per leggere cosa diceva della mia malattia con le sue amiche, qual era il giudizio nei miei confronti, non ho trovato niente d'importante. Alle 5 del mattino la svegliai, le dissi che non volevo tornare al lavoro e ci fu una lite perché lei voleva che tornassi al lavoro. Io dicevo tra me e me: 'io non sono un assassinò ma invece l'ho colpita. Poi non sapevo se era viva o morta e sono andato dai carabinieri a costituirmi. Son so perché le ho fatto del male ho rovinato la sua vita e la vita di tutti». 
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Il Messaggero