Roma, a Trinità dei Monti dopo il restauro nell'epigrafe del '700 la parola in latino è sbagliata

Roma, a Trinità dei Monti dopo il restauro nell'epigrafe del '700 la parola in latino è sbagliata
E se un'epigrafe vecchia di tre secoli perdesse una parola dopo un super restauro griffato? È la strana storia della scalinata di Trinità dei Monti e della...

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E se un'epigrafe vecchia di tre secoli perdesse una parola dopo un super restauro griffato? È la strana storia della scalinata di Trinità dei Monti e della grande iscrizione commemorativa settecentesca che spicca nell'esedra centrale. Dopo un lungo e complesso restyling finanziato dalla maison Bulgari, dopo i fasti in mondovisione di una cerimonia inaugurale da mille e una notte andata in scena il 22 settembre scorso, il gioiello di piazza di Spagna riserva la sorpresa più inaspettata. Uno strano errore, tanto grossolano quanto incredibile. I restauratori hanno trasformato la parola latina MULTI in MUITI, col risultato che una singola lettera (la l è diventata i) modifica ora il senso della parola a tal punto da coniare un neologismo latino. Peccato, però, che la parola muiti in latino non esista. IL RETROSCENA

Protagonista è la frase «cum muiti proponerentur moduli et formae» che si legge oggi alla dodicesima riga della lapide ripulita, incastonata nell'esedra inferiore, cosiddetta del Teatrino. La frase originaria prevedeva il termine multi, traducibile nell'espressione «con molti modelli e progetti che venivano proposti». Siamo di fronte all'epigrafe chiave della scalinata, dove viene citato il personaggio deus ex machina del capolavoro di Roma. Quel diplomatico francese Stephanus Gueffier che lasciò in eredità la somma di 20mila scudi per la costruzione della scalinata di 138 gradini. L'epigrafe è fondamentale perché rimanda ad una vicenda poco nota. «A rigore di storia romana, i progetti del monumento dovrebbero essere nell'Archivio di Stato di Roma, in realtà sono conservati negli Archivi Nazionali di Parigi, perché i progetti seguono chi paga i lavori. E nel caso di Trinità dei Monti, a pagare furono i francesi», racconta Orietta Verdi vicedirettore dell'Archivio di Stato di Roma.
«La parte alta di Trinità dei Monti apparteneva alla Francia da secoli, con la Villa Medici e la chiesa - continua la Verdi - mentre in basso l'area era sotto l'egida dell'ambasciata di Spagna. Per sancire un momento di recuperata pace nel Settecento, dopo secoli di conflitti, il nobile Gueffier lasciò l'imponente cifra per realizzare una scala di collegamento ideale tra Francia e Spagna. Il pontefice Clemente XI nel 1717 commissionò, dunque, il lavoro a vari artisti, scegliendo il progetto di Francesco De Sanctis allievo dello Specchi». Il restauro, dunque, ha perso una piccola memoria dell'identità del monumento. E sì che i lavori non sono trascorsi in sordina. Sotto i riflettori, dal debutto nell'ottobre del 2015, c'è stato un cantiere finanziato con 1,5 milioni dalla storica maison Bulgari. A guidare i lavori la Sovrintendenza capitolina, non senza polemiche con la ditta appaltatrice, per il ritardo nei pagamenti degli operai. Possibile che i restauratori abbiano sbagliato? La verità sta tutta nei documenti. Il volume del 1941 La scalinata di piazza di Spagna e Villa Medici scritto da Pio Pecchiai, riporta tutta l'epigrafe originale, con la parola multi. Ma a sorprendere è il libro La scalinata di Trinità dei Monti (edito da Vallardi) che racconta nel dettaglio il restauro eseguito dalla Sovrintendenza capitolina nel 1995. A pagina 184, contiene foto successive al restyling dove si evince chiaramente che la scritta in questione contiene la parola MULTI e non MUITI.

GLI ARCHIVI

Visionando vari archivi fotografici online tra il 2013 e il 2014 l'epigrafe appare molto deteriorata e la l di multi poco leggibile. Che i restauratori siano caduti in errore? Ma un restauro così importante non dovrebbe avere sottocchio una documentazione storica del monumento? Alla maison Bulgari restano tutti sorpresi. Paolo Bulgari stesso, raggiunto all'estero al telefono, ha commentato: «Non ne sappiamo nulla, non siamo esperti di restauro, noi abbiamo solo finanziato i lavori, ma la responsabilità scientifica resta della Sovrintendenza». E Proprio dalla Sovrintendenza capitolina è arrivata, ieri, la conferma al Messaggero: «Si tratta effettivamente di un errore, grazie alla vostra segnalazione provvederemo quanto prima a rubricare la lettera».
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Il Messaggero