Tivoli, 220 anni di carcere per trenta spacciatori: «Erano la Cosa Nostra tiburtina»

Tivoli, 220 anni di carcere per trenta spacciatori: «Erano la Cosa Nostra tiburtina»
Oltre 220 anni di carcere, tante sono state le condanne inflitte agli ultimi 29 componenti della “Cosa Nostra” tiburtina arrestati dai carabinieri nel dicembre del...

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Oltre 220 anni di carcere, tante sono state le condanne inflitte agli ultimi 29 componenti della “Cosa Nostra” tiburtina arrestati dai carabinieri nel dicembre del 2018. Dopo le prime sentenze dello scorso luglio ai dieci imputati che avevano scelto il rito abbreviato, condannati a 112 anni di carcere, nell’aula bunker di Rebibbia è stata scritta la parola fine all’attività del gruppo criminale che era riuscito a riorganizzarsi nonostante due maxi retate della polizia e dei carabinieri che avevano preceduto l’ultima di tredici mesi fa. La banda gestiva diverse piazze di spaccio tra Tivoli e Guidonia Montecelio. Per tutti è caduta l’aggravante dell’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. La procura Antimafia, che ha coordinato le indagini dei carabinieri della compagnia di Tivoli, per questi ultimi imputati aveva chiesto un totale di 398 anni di reclusione ma il collegio di giudici, Nicola Di Grazia, Antonio Ruscito, Emanuela Francini, ne ha concessi di meno, assolvendo anche 3 imputati, Manuel D’Ascenzo, Giuseppe De Angelis e Fabio Vincenzo Bellinati. Dure, comunque, le condanne per i capi dell’organizzazione. Su tutti spiccano i 18 anni inflitti a Cristian D’Andrea e i 16 a Massimo Piccioni, a cui si devono sommare altri tre anni di libertà vigilata. Tredici anni e quattro mesi, poi, sono stati inflitti Stefano Romano, Luciano Tieso, Massimo Morresi. Le altre condanne vanno da 10 ad un anno di reclusione. I componenti del sodalizio, rimasti orfani del capo Giacomo Cascalisci morto suicida in carcere a Torino nell’agosto del 2018, si erano organizzati e strutturati con ruoli specifici con capi, colonnelli che dirigevano lo spaccio e poi cassieri, pusher e vedette. Nel gruppo c’erano anche alcune donne che, per lo più, pensavano alla gestione dei conti.
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Il Messaggero