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«Ero andato a fare la doccia, mi sono sentito braccato da dietro, scaraventato contro il muro e poi per terra. Sono svenuto e mi sono risvegliato pieno di sangue». Un paravento bianco, nell'aula del Tribunale di Roma, separa la vittima dall'imputato. Sono trascorsi cinque anni da quei fatti terribili, non abbastanza da permettere a Mario (il nome è di fantasia) di guardare in faccia il suo aguzzino, che è accusato di averlo stuprato e picchiato in carcere a Rebibbia nell'agosto del 2018 e di avergli provocato danni permanenti.
I FATTI
L'imputato, presente in aula e accusato di violenza sessuale e lesioni, ascolta il racconto della vittima. All'epoca dei fatti erano entrambi detenuti a Rebibbia, Mario per rapina e l'altro, A. C., per diversi reati tra cui rapine, conflitti a fuoco, omicidio. Dopo qualche giorno da solo, Mario si ritrova ad avere un nuovo compagno di cella, A. C., trasferito dopo aver aggredito un altro detenuto. Gli altri carcerati avvisano da subito Mario, come lui stesso ha affermato, in aula che si tratta di una persona pericolosa da cui stare lontani. I dialoghi tra i due si limitano alle ore notturne quando, dalle 21 in poi, i cancelli delle celle vengono chiusi. Non ci sono discussioni scatenanti, o almeno non sembra. Solo un diverbio sul fatto che C. preparasse la grappa, macerando la frutta. «Io gli avevo detto che era una cosa stupida perché lo avrebbero beccato subito, era una sezione tranquilla quella in cui eravamo. Da lì lui ce l'ha avuta con me perché quando lo hanno scoperto pensava avessi fatto la spia io. La violenza c'è stata qualche giorno dopo», ha raccontato Mario in aula e, con la voce tremante, ha iniziato a spiegare l'accaduto.
LO STUPRO
«Io la sera dopo le 21 ero andato a fare la doccia, mi sono sentito braccato, scaraventato contro il muro e poi per terra.
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Mario il giorno dopo non ha denunciato l'accaduto, si è limitato a farsi dare degli antidolorifici dal vicino di cella e, in aula, ha spiegato: «Mi vergognavo, avevo paura di diventare lo zimbello di tutti e che se gli altri detenuti lo avessero saputo mi avrebbero ucciso».
IL PESTAGGIO
Dopo tre giorni dall'aggressione, il 27 agosto, Mario si è accorto che dal suo armadietto erano sparite delle cose che aveva acquistato, dopo aver chiesto se gli avessero fatto uno scherzo, ha cercato i suoi effetti nell'armadietto di C. e li ha trovati. A quel punto l'imputato è entrato ed è andato a dire agli ispettori che era stato derubato. «Dopo questo episodio racconta la vittima - io l'ho fermato in corridoio e gli ho detto che era il caso di parlare e lui con un atteggiamento arrogante mi ha liquidato».
È iniziato così il racconto della seconda violenta aggressione, avvenuta davanti agli occhi di tutti. «La sera è arrivato con un pugnale per accoltellarmi alle spalle, è stato disarmato dagli altri detenuti. Dopo qualche minuto, è tornato con una caffettiera enorme avvolta dentro una maglia elastica nera e ha iniziato a colpirmi ovunque. Gli altri, che si sono messi in mezzo, sono stati colpiti anche loro. Sono finito in infermeria e non ho più capito niente».
Dopo pochi giorni da questo secondo episodio Mario è stato trasferito nel carcere di Velletri e lì ha deciso di denunciare e farsi visitare. Danni fisici permanenti all'udito e lesioni alla colonna vertebrale e alla cervicale sono il risultato delle aggressioni, per non parlare di quelli psicologici.
«Io ho fatto tanti reati ma mai una violenza, neanche verbale. Voglio essere punito solo per i fatti che ho commesso», ha dichiarato l'imputato.
Il Messaggero