Studente Usa morto, la motivazione dell'assoluzione di Galioto: «Non accertato il responsabile»

Le riprese non confermano se ci fu aggressione: le immagini non raccontano la tesi che sostiene l'accusa. Questo è quello che emerge dalle motivazioni dei giudici...

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Le riprese non confermano se ci fu aggressione: le immagini non raccontano la tesi che sostiene l'accusa. Questo è quello che emerge dalle motivazioni dei giudici della Prima Corte di Assise d'Appello di Roma, che lo scorso 2 dicembre hanno confermato l'assoluzione per Massimo Galioto nel processo per la morte dello studente americano Beau Solomon. «Quando viene commesso un delitto il compito della Giustizia è di individuarne il responsabile non un responsabile. Oggetto del processo penale è l'accertamento da parte del giudice della sussistenza degli elementi che giustifichino l'ipotesi accusatoria. Quando ciò non si realizza, l'ipotesi accusatoria deve cadere e l'accusato essere mandato assolto», queste le dichiarazioni dei giudici. Il fatto è avvenuto il 30 giugno del 2016 a Roma: il ragazzo morì dopo essere caduto nel Tevere.

La contestazione

Il sostituto procuratore generale Mario Ardigò, contestando l'omicidio preterintenzionale aveva chiesto invece alla Corte una condanna di 18 anni per il clochard, durante la requisitoria. Massimo Galioto, difeso dall'avvocato Michele Vincelli, il 21 giugno del 2019 è stato invece assolto in primo grado dai giudici della III corte d'assise di Roma per non aver commesso il fatto. Cadeva così l'accusa di omicidio volontario per la morte dello studente della John Cabot University.

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Nel documento pubblicato dai giudici si legge che: «Il contatto fisico fra l'aggressore e Solomon non è provato» e «le immagini non forniscono la conferma al narrato della principale testimone dell'Accusa: un dato obiettivo del quale non si può non tenere conto». I giudici di Appello hanno inoltre sottolineato come le riprese «non mostrano nessun calcio e collocano il lancio di un oggetto [...] prima della caduta della vittima in acqua». A scagionare l'imputato, secondo i giudici, è anche la presenza di «almeno altri cinque soggetti», «l'assenza di colluttazione, l'assenza del calcio, l'impossibilità di affermare con certezza l'avvenuto contatto fisico di qualsivoglia soggetto con Solomon», si legge. Nel frattempo il clochard è in carcere dallo scorso maggio, con l'accusa di aver ucciso un 38enne rumeno sotto Ponte Sisto, a Roma.

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Il Messaggero