Se il turista cerca l’America anche nel caffè della Capitale

Se il turista cerca l’America anche nel caffè della Capitale
In una delle strade principali di Bangkok c’è una caffetteria che con alcuni cartelli annuncia di servire il caffè romano più diffuso (Palombini); in...

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In una delle strade principali di Bangkok c’è una caffetteria che con alcuni cartelli annuncia di servire il caffè romano più diffuso (Palombini); in alcuni grandi centri commerciali di Seul puoi trovare gelaterie che propongono uno dei brand storici dell’Esquilino, il Palazzo del Freddo di Fassi. Sono solo due esempi per spiegare che non per forza Roma è terra di colonizzazione, a volte sono i marchi locali a viaggiare. 

La premessa serve a guardare con più razionalità e senza diffidenza ad un evento, l’arrivo di Starbucks, in zona Prati. Ha alimentato il dibattito sui social, che già aveva avuto dei prequel quando la notizia era ancora nel territorio dell’incertezza, se non del fake. 

C’è chi grida al sacrilegio perché ritiene che il caffè espresso sia un patrimonio italiano che non può diventare oggetto di conquista per la multinazionale che, secondo i conservatori, servirebbe prodotti di scarsa qualità a prezzi troppo alti. Molti altri invece pensano l’esatto contrario: a Roma la qualità media (con le dovute eccezioni) dei bar e dell’espresso non è memorabile, lo sbarco di Starbucks può dare una scossa, tenendo conto che i turisti, anche i più avventurosi, ogni tanto cercano un ambiente conosciuto e di cui conoscono le liturgie. «Frappuccino» o «che me fai un latte macchiato con latte freddo, poca schiuma»: che la sfida abbia inizio.
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Il Messaggero